Sulle tracce della felicità – Ultima parte

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La radice “fe” di felicità significa prosperità e abbondanza.

Hygge è un sostantivo delle lingue danese e norvegese impiegato per definire un sentimento, un’atmosfera sociale, un’azione correlata al senso di comodità, sicurezza, accoglienza e familiarità. Esprime un concetto simile a quella della parola tedesca Gemütlichkeit.

Il concetto di Hygge non ha come fine la ricerca di una felicità momentanea, bensì di una felicità quotidiana, che contribuisce a generare un senso di appagamento nel lungo periodo.

Secondo un sondaggio dell’Unione europea, i cittadini danesi sono i più felici del mondo, visto che passano più tempo con la famiglia e con gli amici e si sentono più rilassati degli altri.

Wikipedia

Dovevo vedere con i miei occhi l’Hygge, e forse come Jack Skeletron (Nightmare before Xmas) con il Natale, non l’ho capito fino in fondo.

Hygge, Natale, Graal… parole con lo stesso significato.

Le sensazioni che si provano durante un viaggio sono molteplici: appagamento, scoperta, crescita.

Ho attraversato campi di luppolo, orzo e grano, con la consapevolezza che, una volta tornata a casa, non l’avrei rivisti. Sarebbero svaniti, lasciando il posto a strade e capannoni. Mi sono sentita come Karen Blixen quando ha abbandonato l’Africa.

“Gli europei hanno perso la facoltà di creare miti e dogmi, e, per soddisfare questo bisogno umano, devono ricorrere al retaggio del passato. La mente dell’africano, invece, si muove con facilità e naturalezza per quei sentieri profondi e oscuri…”

Karen Blixen

Karlovy Vary – Terme di Carlo (Repubblica Ceca) è stata una sorpresa. E’ la più antica stazione termale della Boemia. Gli edifici in Art Noveau sono stati costruiti tra il 1800 e l’inizio del 1900.

Ho acquistato una tazza di porcellana, con l’apposito boccale, per assaggiare la tradizionale acqua, che esce da 12 sorgenti termali  e ha una temperatura che oscilla tra i 30 e i 70 gradi.

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Dal film “Last Holiday”

Karlovy Vary non è stata una meta casuale, dopo aver visto il film “Last Holiday”, Stefano mi ha detto: “Perché non andiamo a vedere con i nostri occhi il Grandhotel Pupp?”

Sarà che eravamo in vacanza, sarà che avevamo “toccato” i 40 gradi a Monaco,  una volta arrivati a Karlovy Vary ci siamo sentiti “amati”.

Dal Brennero in poi ci sono soprattutto boschi e quando arrivi in Austria vedi addirittura i ghiacciai. Gli alberi, le vallate, le casette ci hanno accompagnato fino a Karlovy Vary. Maree di piante di luppolo e orzo ricamano il paesaggio bavarese. Gli alberi boemi sono più bassi rispetto a quelli tedeschi e le case mi hanno ricordato la Romania. A Karlovy Vary c’è perfino una casa che ha gli occhi sul tetto, come quelle che si trovano a Sibiu.

(Diario di Viaggio)

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Lubecca e le cittadine sul mare sono state una bella sorpresa. Soprattutto l’acqua, azzurra e apparentemente calda o scura e prepotente sul litorale tedesco.

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Oggi, nonostante i 33 gradi, ci siamo riposati, domani ci aspetta “la traghettata”. Stefano ha deciso di andare via mare, e la cosa mi preoccupa un po’, visto che soffre il maldicosechesimuovono. Lubecca è un piccolo gioiello, piacerebbe a Paola T., detta anche l’insegnante. Non si perderebbe la casa Buddenbrookhaus, quella dei Mann, o la chiesa di Santa Maria con le sue campane “cadute”. E poi, Vabbeh, c’è il Markt, i palazzi lungo il canale e le centinaia di rose che puntellano qua e là i minuscoli giardini. Abbiamo camminato per ore tra negozi di marzapane, avete letto bene, sculture di sabbia, botteghe del tè e artigianato locale. Che meraviglia. E poi amo le biciclette, le piste ciclabili, le farfalle e i bombi sui fiori.

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Per non farci mancare nulla, siamo andati al mare. Come pensavo, le spiagge sono affollate, eppure i tedeschi riescono ad essere ordinati anche nel caos. Si fa la fila per ogni cosa e i bagni sono puliti puliti. 
E poi ci siamo spinti in un punto selvaggio, Stefano pensava di trovare l’ambra, mentre è inciampato su un bottone “antico”. 

Ogni luogo lascia qualcosa, anche le cose più stupide. In Selandia il tempo si è fermato tra le spighe di grano e il mare. Quando sentiamo il vocabolo fiordo, ci immaginiamo montagne e mari ghiacciati, qui, invece, la terra è piatta. Ed è una madre gentile, dai capelli dorati e gli occhi verdi, perché in Selandia la terra è bionda. Le case, dai colori pastello, spuntano qua e là, come fossero uscite per caso in una giornata d’estate. Ed ecco i corvi planare sul campo, i gabbiani pasteggiare sulla spuma del mare, anatre in fila indiana attraversare il prato, ali variopinte volteggiare tra i fiori. Di tanto in tanto appaiono tetti di paglia e case a traliccio… l’aria è satura di fiori, soprattutto rose. Nei baracchini, che si trovano lungo l’autostrada, trovi cartelli che invitano a non lasciare cibo per i cinghiali e spesso, nei bagni e negli hotel, ci sono postazioni in cui puoi lasciare un giudizio. Le chiese hanno una forma strana, racchiuse nei loro giardini in riva al mare. Chiudo gli occhi e vedo: i porticcioli, le barche bianche, le sedie sui pontili, i tuffi dei bimbi… e più in là ancora la campagna. E quando il vento accarezza il frumento scorgi il respiro del mondo. Lo senti dentro… come lo avvertivano i vichinghi e gli uomini che hanno camminato queste terre prima di loro. Le scogliere dell’isola di Mon sembrano uscire da uno dei racconti di Stevenson, sebbene Stevenson sognasse i mari del sud e dorma sul monte Vaea, in fondo lui era Tusitala, il narratore di storie.

Una volta arrivata ad Odense, isola di Fiona, ogni cosa, OGNI COSA, ha acquistato un senso. La Simona bambina avrebbe gradito questa visita, perché amavo – amo – le fiabe di Andersen, dal soldatino di stagno alla Piccola Fiammiferaia, dal Guardiano di porci alla Regina delle nevi, dall’Usignolo dell’imperatore alla Principessa sul pisello, da I vestiti nuovi dell’imperatore alla Sirenetta…

(Diario di Viaggio)

Sì ogni luogo dona qualcosa. Della Danimarca non dimenticherò: il silenzio, il centro di Odense, il mare del nord (nello Iutland settentrionale), i campi di grano, i cinquecento scalini delle Scogliere di Møn, i siti archeologici, i fiori, gli animali. Non scorderò i baracchini di pesce, dove puoi prendere in prestito una coperta per riscaldarti, né i luoghi in cui ho dormito. Sì, non scorderò i bambini che si facevano il bagno al mare o nelle fontane nonostante ci fossero tredici gradi.

Perfino le betulle, che purtroppo non ho fotografato, hanno gli occhi.

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The Trees Have Eyes is a photograph by Wim Lanclus

Della Germania non scorderò la “Strada Romantica”, che in estate si tinge di nuovi colori e speranze, le cittadine sul Baltico e la bassa Sassonia. Non dimenticherò l’ospitalità, il cibo e le montagne in cui “danzavano le streghe”.

Goslar é una città non tanto lontana dal monte Brocken. Sulla cima dello Harz, il Brocken, durante la Notte di Walpurga si riuniscono le streghe per celebrare il sabba. Per 300 giorni all’anno la montagna è avvolta dalla nebbia…

Non siamo andati sul Brocken, tuttavia la scelta di certi luoghi è avvenuta per caso e Goslar è uno di questi. Dopo campagna, mare, colline e coste, ora la montagna…

(Diario di Viaggio)

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La sottoscritta a Goslar (Germania… terra di streghe)

Questo viaggio mi ha cambiata.

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Le foto, sebbene non abbia fotografato la qualsiasi cosa, sono tante. Mi piacerebbe parlare anche della Germania, ma quando un viaggio è terminato è terminato. Con tutta probabilità inserirò le foto, nei prossimi giorni, su Facebook o Instagram.

Instagram

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Non è stato il solito viaggio “spettacolare” a cui ero abituata, soprattutto negli ultimi anni. Non ho visto scogliere da togliere il fiato, spiagge color cioccolata, acque turchesi o città scolpite sulla roccia rossastra. Non ho visto deserti infuocati, brughiere desolate, castelli diroccati o distese di lavanda. Non mi sono abbeverata sotto ad un ulivo, né ho ammirato il tramonto da una caletta di sabbia bianchissima. E’ stato un viaggio catartico. Di purificazione. In fondo, se mi giro indietro, dell’Irlanda mi mancano i muretti di pietra, le casette colorate incastonate nel verde, le pecorelle che invadono le strade. Sì, guardandomi indietro ho nostalgia del cervo che mi guardava fisso, su, nel Donegal e di quello del Wyoming. Ho nostalgia del pettirosso curioso del parco di Glenveagh e dell’avvoltoio del Grand Canyon.

***

Parlo con gli alberi, ascolto l’usignolo notturno, corro dietro alle zigene e parlotto tra me e me di etimologie e morfologie. Ed è così che creo un racconto, uno qualsiasi. Dentro di me. Talvolta vorrei tornare indietro e rifare tutto. Comprendere il significato, qualsiasi significato. Poi, mi dico che tutto scorre anche senza sapere il perché.

Mi piacciono le fotografie piccine, le case ordinate, il profumo che ha la biancheria appena lavata. Oggi si parlerebbe di aromaterapia. Tuttavia penso che i libri, i paesi e i racconti ci colpiscano in modo differente.

Conosco persone che amano certi luoghi per i Dolmen, i Cromlech, i Menhir e le leggende, altre, come me, per il respiro del drago. 

Conosco persone a cui piacciono le corone. Le indossano e cianciano di qualsiasi cosa, basta che se ne parli o ne se ne parli affatto. Altre, come me, preferiscono i margini, i confini, i lati, gli angoli. I rifugi, le tane, i piani B, i pori, le finestre.

E poi basterebbe osservare la gente, in rete e fuori dalla rete, per comprendere il loro, piccolo, grande universo, fatto di: scelte, candele bianche, vocaboli, libri, pellicole, immagini, ricerche e, spesso, rincorse. C’è chi urla, chi narra, chi sorride, chi salta, chi gioca, chi si giustifica e chi fa all’amore con le parole. Il mondo è colmo di ossimori. Nello spiegare il come e il perché, le anime semplici, che contengono spiriti complessi, si sottomettono all’idea generale del gruppo. E quindi il nord diventa la terra di qualche mitologia cosmica e l’estate un mantra da evitare: pelle bianca, afa, sudore, pressione bassa, ghiacciai, condizionatori e tante belle cose… però “salviamo le api!” Già visto.

La via di mezzo la intravedo di rado, tuttavia continuano a piacermi le parole altrui, quelle in cui mi ci ritrovo sebbene mi adatti a tutte le temperature, adori Edgar Allan Poe, tifi per Jean Eyre e Anne of Green Gables.

Non Amo “Il grande Gatsby” perché racconta la storia sfortunata di un uomo e una donna, amo John Gatsby perché: è imperfetto, è un Don Chisciotte e mi somiglia. E sì, mi piace parlare d’amore.

Simona

3 pensieri riguardo “Sulle tracce della felicità – Ultima parte

  1. Belle foto e bel diario di viaggio.
    Avendo vissuto in Danimarca per 9 anni, e adesso in Svezia da 10, non condivido tanto il concetto che i danesi sono i più felici. Secondo me hanno un’idea della felicità diversa dalla nostra e, credimi, a livello di tempo speso con familiari e amici ne spendiamo molto più noi 😉

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    1. Probabilmente è come dici tu. I viaggi, in fondo, ci fanno sembrare le cose più belle. Tuttavia, girando per i loro paesi e supermercati, ho notato che non sono “fissati” come noi per l’oggettistica, i vestiti… Sarà che abito in uno dei luoghi più industrializzati d’Italia, ho apprezzato la loro campagna, il silenzio e le casette (certo i b&b magari non rappresentano la loro realtà), dove i giardini sono più importanti della casa. Le cose cambiano ad Aarhus e Coopenaghen… Poi, a differenza del Belgio e della Francia (e amo sia la Francia che il Belgio), ho trovato i danesi molto ospitali, ma so che altri hanno avuto esperienze negative…

      La Svezia com’è?

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      1. Sicuramente le esperienze sono soggettive e so che la Danimarca fa una bella impressione a prima vista. Poi, abitandoci, ti rendi conto che non è tutto oro, ma questa regola vale dappertutto.
        Per la Svezia diciamo che È molto simile alla Danimarca, forse meno nazionalista e leggermente più aperta.
        Anche se ti rendi conto che abbiamo e veniamo da due culture completamente diverse e, per esempio, la spontaneità nei rapporti è una delle cose che mi manca di più dell’Italia.
        Ma ci sono anche tante altre belle cose 🙂

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