Ho sempre pensato che le leggende, i libri, i racconti avessero il potere di abbellire le persone. Di ingentilirle. Tendiamo, invece, ad appropriarci di ciò che leggiamo, trasformando e ingigantendo, a nostro piacimento, la realtà, la storia, le metafore. Ogni narrazione è figlia di un’epoca, più o meno buia, più o meno lontana. Possiamo, in qualche modo, decifrarne l’intento, non sbrogliare la matassa.
Mutiamo la realtà/gli studi pur di giustificare il nostro passato, i nostri dolori, le nostre convinzioni, la nostra storia. Lo facciamo per rassicurarci, per dimostrare quanto siamo bravi o per nascondere le nostre debolezze. Ed ecco il revisionismo, la rilettura delle fiabe, l’odio viscerale verso quella o quell’altra filosofia, religione, idea, sentimento. Molti non riescono a vedere le cose dalla giusta distanza. Ma chi lo fa?
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Dracula
Dracula lo conoscono tutti, ma pochi hanno letto il libro. Stoker crea un uomo tutt’altro che rassicurante: volto “rapace”, sopracciglia cespugliose, capelli radi, narici dilatate, denti aguzzi, orecchie appuntite. Non contento, gli regala: dita tozze, unghie lunghe, peli sui palmi delle mani e un alito fetido. Eppure il conte riscuote successo, un successo che attraverserà gli oceani del tempo (citando il film di Coppola). Il racconto è scritto in modo epistolare e ha un ritmo incalzante. Leggendo gli scritti di Mina, scopriamo le sorti della povera Lucy e facciamo la conoscenza del Dottor Van Helsing. Grazie alle parole di quest’ultimo scorgiamo il mito che affascinerà intere generazioni: Dracula il vovoida, colui che non ha ombra. Il Vampiro. Il conte non si riflette allo specchio; ha una forza sovrumana; è in grado di trasformarsi in nebbia o pipistrello; ringiovanire. Può muoversi di giorno, contrariamente a quello che si pensa, ma senza quei poteri che conosciamo. I suoi punti deboli? Aglio, croce, paletto, rosa selvatica, testa mozzata, pallottola consacrata. Soltanto Coppola, nonostante la parentesi romantica, riporta l’intera vicenda sugli schermi, restituendo giustizia ai singoli personaggi .
“E voi, la loro beniamina, siete ormai mia, carne della mia carne, sangue del mio sangue, stirpe della mia stirpe, per ora mia rigogliosa vendemmia, e in seguito mia compagna e mia complice. Sarete vendicata a vostra volta, perché tutti loro si piegheranno ai vostri voleri. Ma per il momento dovete essere punita per ciò che avete fatto. Li avete aiutati a ostacolarmi, e ora obbedirete a ogni mia chiamata. Quando la mia mente vi ordinerà: vieni!, voi attraverserete terre e mari per obbedirmi e a tale scopo, ecco!”.
100 anni di regole
Ogni generazione ha il suo Dracula, più o meno affascinante, più o meno mostruoso. Tra i miei preferiti c’è Nosferatu (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens) di Murnau, pellicola del 1922. Pensando all’Epoca Vittoriana, il successo di Dracula ha a che vedere con il tabù del sesso, quasi da diventarne un simbolo. Dracula è sinonimo di contagio (sangue = malattie veneree) e pestilenza. Non a caso in “Nosferatu” troviamo la peste. Se Orlock/Max Schreck è palesemente orrorifico, non si può dire la stessa cosa del Dracula di Bela Lugosi (1931). Tuttavia, è proprio Orlock che regala, per sempre, un alone “romantico” al Conte. Il Dracula del romanzo è una macchina da guerra, nonostante le “compagne”, è privo di anima. Orlock, invece, si fa sorprendere dal sole per dissetarsi col sangue di Hellen. “La sinfonia dell’orrore” detta nuove regole: ossessione e timore del sole.

Negli anni i personaggi del libro sono stati confusi e cambiati a seconda degli sceneggiatori. Lucy prende il posto di Mina, Mina quello di Lucy, Seward talvolta è il padre di Mina, altre ancora il dottore, Harker e Renfield si confondono tra loro. Insomma, in questo marasma, Dracula e Van Halsing rimangono i protagonisti assoluti della vicenda.
Spesso il mito del vampiro è collegato al timore dei morti, al loro ritorno. A ben guardare il culto della morte si riscontra in tutte le culture. Perfino l’elemento sessuale, che caratterizza Dracula, traspare in epoca classica. Tuttavia il conte sembra immune al fascino della carne (le vittime soccombono palesemente al suo bacio erotico, seppur mortale), mentre un tempo gli spettri potevano unirsi ai vivi. Come dicevo, ogni generazione ha il suo Dracula, per meglio dire il suo vampiro. L’antropologia insegna che le leggende celino un fondo di verità. Si ipotizza, infatti, che molte storie sui vampiri siano legate ad un’epidemia di rabbia furiosa scoppiata in Europa Orientale, all’inizio del XVIII secolo. Altri collegano il vampirismo a malattie come la tubercolosi, l’anemia, la catalessi e la porfiria.
Le pellicole ci hanno mostrato un Dracula elegante, a volte erotico, altre volte romantico. Ci siamo abituati al suo mantello, alla sua avversione per la luce (poco importa se ci discostiamo dal romanzo), alle sue vittime. Ci siamo abituati ai canoni dettati dal cinema, dalle mode. E abbiamo dimenticato il libro (i peli sui palmi delle mani, l’alito fetido, il modo in cui viene ucciso), nonostante tutto ci affascina.
L’ultimo in ordine di apparizione è “Dracula” di Mark Gattis e Steven Moffat, interpretato da Claes Bang. La miniserie non è priva di lacune, ma la consiglio se siete cinefili – come me – e se vi ricordate soprattutto i film con Lugosi, Lee, Langella e Oldman. E’ un omaggio a tutte le pellicole che lo hanno preceduto, al Dottore (Dottor Who) e a Inside n. 9. Ho letto le cose peggiori su questo telefilm – non prestateci ascolto -. C’è perfino chi lo ha accostato ai vampiri della Rice (che si può dire a questi scienziati?). Si prende troppo sul serio questa figura mitologica, più vicina a Freddy Krueger di quanto si pensi. Il buon vecchio Wes conosceva la parola “ironia”. Quindi per accontentare i critici, la prossima volta, sceneggiatori ricordatevi: alito fetido e peli sulle mani!
A me “la scena della tenda” mi ha quai commossa, miscredenti! E qui mi fermo.


* La mia introduzione ha un senso.
Un piccolo omaggio a Martin Landau nei panni di Bela Lugosi.
