Dal film Jukai
C’è una foresta, ai piedi del monte Fuji, chiamata Aokigahara e conosciuta con il nome Jukai (mare di alberi). Si dice che la foresta, accarezzata dal vento, assomigli ad un vasto mare verde. Gli alberi che formano Aokigahara crescono sulla lava, eruttata dal monte Fuji migliaia di anni fa. Lo spessore del terreno è di pochi centimetri, di conseguenza, le radici non si tuffano sottoterra, ma si diffondono sulla lava. Non essendoci molto terreno, gli alberi, quando crescono, cadono sotto il loro stesso peso.
Le leggende metropolitane raccontano che le bussole non funzionino a Aokigahara e che la boscaglia sia infestata da spiriti, gli yūrei. Grazie alla fitta, oscura, foresta – fatta di buchi naturali, grotte e radici -, e alla struggente bellezza del luogo, lo scrittore Kiyoshi Matsumoto (Seichō Matsumoto) scrisse Nami no tō (Torre delle onde). Il libro racconta la storia di due amanti che si tolgono la vita nella foresta. Da quel momento i numeri dei suicidi, all’interno di Aokigahara, sono aumentati, tanto che qualcuno l’ha definita “la terra santa del suicidio”. Al di là delle leggende e della cattiva reputazione, la foresta rischia di essere rovinata dalla quantità di rifiuti (talvolta industriali) lasciati dai visitatori.

Mi sono avvicinata a questa storia grazie al film horror “Jukai – la foresta dei suicidi”. Alla maturità portai come tesina di italiano “La morte per Mishima*” (avrei voluto portare l’omosessualità per Mishima, ma, l’intelligencija scolastica non avrebbe approvato). Ho sempre trovato interessante, per nulla macabro, comprendere “l’altro”, anche nei gesti estremi – per motivi tradizionali, culturali e umani -.

I giapponesi praticano lo Shinrin-yoku, ossia il bagno nella foresta. Per immergersi nella natura bisognerebbe: praticare il silenzio; camminare lentamente; non seguire un sentiero prestabilito; percepire l’atmosfera e lasciare a casa i dispositivi elettronici (quindi niente foto per i social).
Quello che mi piace delle altre culture sono le parole, in Giappone si utilizzano questi vocaboli per descrivere un’immagine:
Komorebi
… Descrive i raggi del sole che filtrano tra le foglie della foresta.
Kogarashi
… indica un freddo invernale, ma non quello della bufera. E’ un soffio che scuote le foglie degli alberi in un determinato periodo dell’anno provocandone la caduta.
Kawaakari
Descrive il modo in cui la luce – in particolare quella della luna – si riflette su un fiume, dando vita a bagliori, riflessi, luccichii. La parola kawaakari trasmette ciò che accade quando la luce e l’acqua iniziano a giocare insieme.
Da “Japonisme – Ikigai, bagno nella foresta, wabi-sabi e molto altro – di Erin Niimi Longhurst
Il film “Jukai” mi ha fatto conoscere una poetessa statunitense che si suicidò con i sonniferi – per rimanere in argomento -: Sara Teasdale (1884 – 1933).
The tree of song
I sang my songs for the rest,
For you I am still;
The tree of my song is bare
On its shining hill.For you came like a lordly wind,
And the leaves were whirled
Far as forgotten things
Past the rim of the world.The tree of my song stands bare
Against the blue —
I gave my songs to the rest,
Myself to you.Sara Teasdale
The river
I came from the sunny valleys
And sought for the open sea,
For I thought in its gray expanses
My peace would come to me.I came at last to the ocean
And found it wild and black,
And I cried to the windless valleys,
“Be kind and take me back!”But the thirsty tide ran inland,
And the salt waves drank of me,
And I who was fresh as the rainfall
Am bitter as the sea.Sara Teasdale
In questa atmosfera struggente, non può certamente mancare una canzone di Nick Drake (1948 – 1974)
* Il 25 novembre del 1970 Yukio Mishima si toglie la vita compiendo il seppuku, suicidio rituale.
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La natura è una maestra, ha ispirato scrittori, poeti, musicisti e illustratori.
Lucy Case nasce a Horncastle, nel 1972. Si sposa nel 2000 con Daniel Adam Grossmith e da quel momento dipinge con il nome di Lucy Grossmith. Immersa nella natura, come i disegnatori giapponesi, ne coglie l’essenza. I suoi quadri, apparentemente “elementari”, imprigionano tutta la bellezza che la terra può offrire.
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Ci sono persone che fingono di stare male e persone che stanno male sul serio. Delle prime non mi curo. Quelli che mancano di “comprensione” non sono in grado di apprezzare un Nick Drake o di capire realmente Lucy Case. Quelli che parlano solo ed esclusivamente di bellezza, senza scavare in profondità, non hanno mai visto il buio (ed è solo questione di fortuna) e, di conseguenza, non hanno assaporato la luce (vera). La vera bellezza non è nascosta tra “gli alberi accarezzati dal vento”, ma “dal vento intrappolato tra i rami”.
A Nick Drake
