Dell’immaginazione

A me piace scrivere. Mi piace creare mondi immaginari. L’altro giorno, un’amica al telefono mi ha rivelato: “Mia madre è impazzita per “Al tempo dei lupi”; un’altra mi ha detto: “Quando scriverai il seguito di Racconto Gotico?”.

Una donna, non so dirvi l’età, è riuscita a scovarmi trovarmi su WordPress per “Alla ricerca di Agata” – Il messaggio era finito nello spam -. Ha scritto: “E’ decisamente il più bello dei 3”. Oh che meraviglia, ho pensato. Un’altra ragazza, e ho concluso, ha esclamato: “mi fai sperare negli uomini!”. Oddio, dovrei essere contenta, ma no, i miei racconti non hanno quell’intento.

Non so nemmeno come sia finita a scrivere storie gothic dove trionfa l’ammmmore. Con la mia velocità, e per quello che guadagno, potrei fare la fine di Salgari* (sto bestemmiando, lo so!). In ogni caso, ad ogni modo, tuttavia… se avessi incontrato la mia correttrice di bozze (Simona Cordara) 20 anni fa o se avessi ricevuto qualche complimento in più nella vita… forse… Ma con i forse e con i se non ci si fa nulla.

Dopo tre racconti “invernali”, scrivere l’ennesima storia d’inverno, credetemi, è dura, specialmente in estate. Ci scherzo su, ma è così, per non parlare del “castello”.

Tema: la tempesta

L’aria gelida e la neve non mi facevano respirare. Tutto intorno era maledettamente bianco. Iniziai a contrassegnare gli alberi, come le briciole di pane per Gretel. Cercai di aumentare il mio senso dell’orientamento, arrampicandomi in mezzo ai rovi e alle cortecce umide, il castello non lo scorgevo già da un pezzo.

“George!” urlai.

Camminavo sulla neve, nella speranza di tirarci fuori da quella brutta situazione. Non riuscivo a distinguere nulla.

“George!”

Continuavo a gridare il suo nome. Non si sentiva che il rumore del vento e lo scricchiolio dei rami.

“George!”

Nessuna risposta.

– Non farmi questo, ti supplico -, dissi tra me e me.

I miei passi si erano fatti pesanti. Non sentivo più gli arti dalla stanchezza.

Da quanto tempo stavo camminando?

“George!” urlai di nuovo, crollando sulle mie ginocchia.

“Alice…”

Sentii una voce flebile provenire da un angolo remoto del bosco….

Da “Racconto Gotico”

Quel venerdì sera il vento si trasformò in una bufera.

Edward Brandon camminava davanti a me con la lanterna accesa. Procedevamo contro la tempesta, in balia di neve e gelo. Il vento ci obbligava ad avanzare a piccoli passi. Tenevo con una mano il cappuccio del mantello e con l’altra stringevo i doni della vedova Alcott.

“Signor Brandon, ce la fate a portare il sacco di farina?”.

“Avete altre idee, signorina Anna?”.

“Temo di no”, urlai per farmi sentire.

“Non dovevate offrirvi volontaria. Il vostro abito vi è di impiccio”.

“Come? Non vi sento!”.

“Il vostro abito. Non va bene per questo tempaccio!”, gridò Brandon.

Non vedevo nulla, ma il signor Brandon riusciva a mantenere l’orientamento, e io seguivo il suo cappotto illuminato dal bagliore fioco della lanterna.

Era la prima volta che mi trovavo dentro a una tormenta. Mi sembrava tutto innaturale. Mi bruciavano gli occhi e la gola.

La tempesta ci spingeva all’indietro. Gli stivali affondavano nella neve fresca.

Da “Al tempo dei lupi”

Tema: il castello

Da vicino il castello si presentava imponente. Da qualche parte avevo letto delle merlature ghibelline, e quelle erano proprio a coda di rondine. C’era perfino un vecchio ponte levatoio con catene tiranti arrugginite. Un’antica torre di guardia si stagliava in tutta la sua magnificenza. Le mura trasudavano di antiche gesta e di cavalieri erranti.

Il più massiccio dei tre uomini finalmente sembrò accorgersi della mia presenza e pretese di seguirlo.

Un grande portone in legno segnava l’entrata al palazzo. Fui condotta in un salone gigantesco, dove i tavoli erano coperti da drappi rossi e dorati, i tappeti e gli arazzi richiamavano il colore del fuoco. Nella tessitura si intravedevano scene autunnali di danze nei campi, di fiere, di draghi, di bestie e piante misteriose.

da “Racconto gotico”

Il mastio medievale incombeva con le sue splendide finestre. Le mura difensive si allargavano lungo tutto il palazzo e quattro torri altissime vegliavano su quel luogo incantato. Come nel mio racconto, ad attenderci c’erano pure un fossato e un vecchio ponte levatoio.

“Non troverà centinaia di stanze”, disse il signor MacFarlane divertito.

“Ah no?”, chiesi distratta.

Scendemmo dall’auto ed entrammo nel palazzo, dove fummo accolti da un uomo e una donna che presero i nostri cappotti.

“Lo immaginava così?”.

“Quante stanze ha detto che ci sono?”, domandai.

“Solo settantaquattro. È delusa?”.

“Solo settantaquattro…”, ripetei accentuando la risposta.

Il signor MacFarlane si mise a ridere.

“Vogliamo accomodarci nel mio studio? Lì non ci disturberà nessuno”.

“Sì!”, replicai.

“Le prometto che non la costringerò a rimanere… senza il suo permesso.”

Quella frase sibillina mi fece scattare un campanello d’allarme, ma cercai di restare calma.

Attraversammo un lungo corridoio. Su alcune pareti si potevano vedere tracce di intonaco colorato. Mobili antichi, vecchi quadri e arazzi arredavano l’ambiente. Con un po’ di fantasia immaginai l’epoca in cui giullari, attori e musicisti intrattenevano i signori, mentre i cavalieri sostavano nelle loro armature scintillanti.

Lo studio era un’ex cappella sconsacrata. Il camino, in stile neogotico, conteneva ricche e bizzarre sculture. Vicino alla finestra spiccava un piccolo bacile decorato con finissime decorazioni, un tempo utilizzato per le funzioni religiose.

Mentre osservavo l’arredamento e mi perdevo in dipinti o oggetti di altre ere, il mio interlocutore ci fece portare il tè.

da “Alla ricerca di Agata”

Per non parlare delle descrizioni dei boschi e della neve. Copiosa? Bianca? Coltre? Fredda? Gelata? Abeti? Rami? Cespugli? Nodosi? Contorti? Radici? Radura? Foresta? Boscaglia? Oddio, non se ne può più. E quando sono immersa – direi affogata – in un racconto, come Daniel Day Lewis, mi immedesimo. L’altro giorno mi sono addormentata alle due del pomeriggio, quando mi sono svegliata credevo di trovarmi al castello, quale? Eh… Una settimana fa, al supermercato, ho visto una donna, avrà avuto più di 50 anni, praticamente in mutande e ho pensato: “Sono al mare?”. Per voi è luglio, per me è gennaio, il 7 per la precisione (ottavo capitolo, 20220 parole e sto andando piano). Poi, ci sono i vocaboli legati ai lupi: zanne, digrignare, muscolatura, manto, pelo, guaito, grigio, nero, ululati, ulula lì, ulula là. E, ancora, “rispose”, “replicò”, “disse”, “domandò”, “chiese”, “inveì” o “mentre”, “in quel momento”, “ad un tratto”, “ad un certo punto”, “di colpo”, “di botto”. Infine, gli avverbi, che Simona (non io) insegna ne metto troppi e WoW! Posso urlare?

Il nuovo “Racconto Gotico” non penso accontenterà “i fan” – passatemi ‘sta parola, e che cavolo! Lasciatemi sognare! -. Sto cercando di ultimarlo per i primi di agosto. Devo leggerlo, correggerlo, pubblicarlo, editarlo, copertina e BOOM entro il 31 per partecipare ad un concorso. In verità, lo faccio per darmi un termine e “un tono”, ahahahah.

Insomma, spero che qualcuno legga ‘sto post e sorrida.

***

*Il capitano Salgari

Emilio Salgari (1862-1911) non viaggia, non sperimenta l’avventura. Conosce il Mar dei Caraibi, l’India e la Malesia sui libri. A Negrar, dove trascorre l’infanzia, non c’è il mare, semmai rocce marnose, colline dominate dai vigneti. Non termina gli studi presso l’istituto nautico Sarpi di Venezia, partecipa forse come mozzo o passeggero su un vecchio mercantile che fa la spola tra Venezia e Dubrovnik. Eppure si fa chiamare “Capitano” e difende questo titolo addirittura con un duello.

Nella sua scrittura c’è soprattutto passione. È un personaggio ignorato dagli intellettuali italiani, mal pagato e in mano a editori senza scrupoli. Non sarà mai famoso quanto Verne o Dumas.

Come London si costringe a scrivere racconti su racconti per saldare i debiti, sebbene per motivi differenti.

La moglie, Ida Peruzzi, ha “una forma di mania furiosa con tendenza ad atti impulsivi” e viene rinchiusa nel manicomio di Collegno.

Per Salgari non c’è pace, costretto a mantenere la famiglia si tuffa nel Marsala e nelle sigarette. Eppure i suoi racconti, arricchiti di peripezie e paesi esotici, non cedono mai alla reale sofferenza. Salgari è un abile alchimista, uno scrittore ebbro di mari e paesi sperduti. Abitua i lettori ad esercitare la propria fantasia, narrando storie di uomini e donne giramondo, di eroi e spadaccine, di pirati e corsare. Sogniamo, con lui, filibustieri, vascelli, giungle e odori esotici. Sandokan, principe del Borneo, incontra e si innamora di Marianna Guillonk, anglo-italiana, mentre Tremal-Naik, cacciatore bengalese, si sposa con l’inglese Ada Corishant. Nei racconti di Salgari l’amore non ha confini e spesso il nemico è il dominatore dei grandi imperi.

La scrittura talvolta nasce dalla disperazione per poi arrivare nelle nostre mani, trasformata in qualcosa di buono, di nuovo, un po’ come quelle fotografie di ragazzini e bambini londinesi dei primi del novecento, che oggi ci appaiono come un felice ritrovamento archeologico.

Di rado conosciamo le sciagure che colpiscono gli scrittori, a noi interessano le storie. Come direbbe Bradbury, i libri rivelano i pori sulla faccia della vita. La gente comoda vuole soltanto facce di luna piena, di cera, facce senza pori, senza peli, inespressive.

I libri di London e Salgari contengono quelle tracce, fatte di uomini, umanità, amicizia, esistenza. Non possiamo fare a meno della loro eredità: immaginazione, avventura e speranza.

SimonaEmme

A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.”

Emilio Salgari

***

Lo so, avevo promesso un post fotografico… mi riscatterò. E se qualcuno sta pensando che dovrei darmi alla fotografia, oltre che all’ippica……. Come dargli torto? Ahahah

Le foto della lavanda sono state scattate con la Canon Eos 77D (lo dico ai dilettanti come me… è UNA MERAVIGLIA DI MACCHINA). Il capriolo e il fagiano con la Lumix, purtroppo erano lontani, e la farfalla con una vecchia Nikon. La Canon ha dei colori… WOW! Vabbeh, magari ci vuole un po’ d’occhio e mano ferma, ma è una macchina stupenda. Ok, finito l’entusiasmo.

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