I primi episodi di “The haunting of bly manor” sono ben costruiti, richiamano lo stile narrativo di Henry James. Infatti, la seconda stagione di “The haunting” prende in prestito i personaggi e la trama di “Il giro di vite” del noto scrittore. Solo quelli.

Spesso si confonde il romanticismo ottocentesco con il romanticismo moderno, la letteratura gotica con una banale storia di fantasmi. Nemmeno io mi sono sottratta dall’intitolare uno dei miei libri “Racconto gotico”, che di gotico ha solo l’ambientazione, ma questa è un’altra faccenda.
Essendo una cinefila, pretendo una sceneggiatura corposa. Non mi accontento di: jumpscare, salti temporali, lungaggini, drammi psicologici, flashback. Tifo per l’evento inatteso, e qui di inatteso non c’è nulla. “The haunting of bly manor” è la solita storia di fantasmi. Siamo ben lontani da “The others”, “Il sesto senso” o dallo sfortunato “Il mistero di Rookford”. Non ha il fascino di “Penny dreadful”, non è attraente come le storie pulp di “American horror story”, non mi ha tenuta incollata alla sedia come la prima stagione di “The exorcist”. Se al quarto o quinto episodio di una stagione, composta da nove puntate, capisci il finale, che senso ha parlare di mistero? E’ l’ennesimo dramma parapsicologico, in cui i protagonisti si crogiolano nelle loro tribolazioni, fuorché il personaggio interpretato da Greg Sestero, l’attore del mitico e catastrofico “The room” di Tommy Wiseau.
“The haunting of bly manor” cita e recupera alcune storie di James (i titoli degli episodi lo confermano): “L’inquilino fantasma. La romanzesca storia di certi vestiti”, “La bestia nella giungla” e “L’altare dei morti”. Il telefilm richiama alla memoria pellicole come “Hereditary” o il libro “La donna in nero” di Susan Hill. I rimandi, le strizzatine d’occhio, gli omaggi non riescono a cogliere la vera essenza di Henry James. Troppe tragedie, lacrime, amore per una storia misteriosa che di misterioso ha solo il titolo.
Victoria Pedretti ha la stessa espressione sofferta per tutta la stagione e non emana l’intelligenza e l’ambiguità del personaggio di “Il giro di vite”. Non si morde il labbro come Kristen Stewart, ma è lì lì per farlo.
Detto questo, faccio finta di non sapere nulla di cinema, telefilm, fumetti, racconti, libri, leggende. Annullo tutto quello che so sulle favole, le case stregate, le cantine, i bauli, le soffitte e i fantasmi e mi chiedo, dopo aver visto “The haunting of bly manor”, cosa mi dovrebbe indurre ad esclamare “WoW”? Quando guardo una pellicola come “Babadook” – un film fatto con due soldi -, lo confronto con questi lavori, grido al miracolo. Per Babadook, s’intende. Spielberg, Hitchcock, Kubrick insegnano che mostrare troppo rovina la storia. “The haunting of bly manor” gioca sui sensi di colpa, sui drammi personali e familiari, sui fantasmi che ci perseguitano e dimentica il senso di “Il giro di vite” di James. Abbandona il mistero e le ossessioni romantiche e indora la pillola.
Quando guardiamo film come “L’esorcista” o leggiamo libri come “It” di King, possiamo utilizzare vocaboli come orrore. “The haunting of bly manor” non è né pauroso né disturbante. Irrita e basta! Come ho già scritto, è la solita storia di fantasmi, una storia che doveva avere come protagonisti i bambini ed è finita per essere una saga degli amori infranti.
L’ottavo episodio “The Romance of Certain Old Clothes” è il vero gioiello dell’intera stagione. Un plauso va a chi l’ha scritto: Leah Fong.
Letteratura gotica, o quasi
Il cinema, la televisione tentano di accontentare il pubblico, per questo motivo esistono programmi come “C’è posta per te” o pellicole come “Fast & Furious”. A ben guardare accade anche nell’arte, nella letteratura, nei fumetti. Da un punto di vista economico, e cerco di farla semplice, la domanda varia in base al prezzo più che alla cultura. L’offerta insegue la domanda e viceversa. La letteratura gotica – horror, più di quella rosa o, che ne so, avventurosa, si muove seguendo le proprie regole.
“La tomba” di Lovecraft è un racconto angosciante, in bilico tra follia e sanità mentale. La descrizione degli ambienti ne aumentano la tensione e trasportano il lettore nella testa del protagonista:
Non dimenticherò mai la prima volta che mi avventurai presso quell’invitante casa di morte: era pomeriggio, nel pieno dell’estate, quando l’alchimia della natura trasforma il paesaggio dei boschi in una vivida e quasi omogenea massa di verde e i sensi vengono intossicati da un mare di vegetazione umida, da sottili e indefinibili odori di terra e verzura. In un paesaggio come questo la mente abbandona le coordinate abituali; tempo e spazio diventano secondari, irreali, ed echi di un passato preistorico e dimenticato affiorano con insistenza alla coscienza incantata. Per tutto il giorno avevo vagato nei boschetti fatati che coprivano la conca, pensando a cose che è meglio non ripetere e parlando con creature che non ricorderò perché nonostante avessi solo dieci anni, mi ero già imbattuto in meraviglie che la maggior parte della gente non conoscerà mai e sotto un certo aspetto ero stranamente maturo.
La tomba di H. P. Lovecraft
L’autore non si prende la briga di psicanalizzare Jervas Dudley. Non giustifica, non consola. La letteratura è coraggiosa. Guardo i film tratti da “It”, leggo il libro ed esclamo: “Cosa? COSA?”. Amo il cinema, non fraintendetemi, separo sempre i libri dalle pellicole. Non do retta alle critiche, ragiono con la mia testa. Sono quasi sempre in disaccordo con le opinioni altrui. Ho un mio gusto personale, ed è proprio per questo che guardo tutto. Mi concedo il lusso di cambiare opinione.
Film come “Antrum”, “Midsommar”, “Antichrist”, “The lighthouse” se ne infischiano del pubblico. Sì, il cinema è fatto anche per divertire, sono una fan di “Alien”, di Craven, di “Un lupo mannaro americano a Londra”, di “The ring” e “Ringu”. Tuttavia l’arte non dovrebbe accontentarsi di assecondare il pubblico e il pubblico dovrebbe osare di più. Imparare ad osservare le scene, gli abiti, l’ambientazione, i dialoghi (i dialoghi!!!!), la produzione (ossia quanti soldi sono stati spesi), perfino le SGI. Nel 1971 Dion Siegel gira un film, “La notte brava del soldato Jonathan”*, con Clint Estwood e Geraldine Page, tratto dal libro di Thomas P. Cullinan. Con l’orrore c’entra fino ad un certo punto, ve ne do atto, ma è indiscutibile che per l’epoca fu un film fuori dal comune. Il cinema è la mia famiglia, mi ha praticamente cresciuta. Senza non conoscerei Poe, Stoker, Shelley, Polidori, King, Oldfield, Blatty… Ho letto “Jane Eyre” di Brontë e “Il fantasma dell’opera” di Leroux dopo aver visto, all’età di undici anni, “La porta proibita” con Orson Welles e, all’età di otto anni”, “Il fantasma dell’opera” con Lon Chaney.
Quando abitavo da sola, in sala avevo appeso alla parete “Il trionfo della morte” di Bruegel il vecchio e “la medusa” di Giger. Qualcuno obiettava: “Sono macabri!”. Allora facevo notare che lo erano anche “Ophelia” e “Lady of Shalott” di Waterhouse o “Cristo inchiodato alla croce” di Dürer. “Spostare il punto di vista” è la prima cosa che mi ha insegnato l’arte.
“Il giro di vite” è un titolo piuttosto singolare per un racconto. Qualcuno sostiene che sia il ricambio di vite tra fantasmi e bambini, altri pensano che si riferisca all’oggetto metallico, a qualcosa che gira su sé stesso, altri ancora alla garrota. Henry James costruisce una vicenda incalzante, i cui dialoghi e le azioni si susseguono in un vortice di ossessioni e paure. Il male si insinua nell’innocenza dei bambini, innocenza che si contrappone all’orrore. L’ambiguità è l’ingrediente principale di questo horror psicologico che non lascia speranza, vie di fughe. Ci rimane il dubbio sull’esistenza degli spettri, come per la follia di Jervas nel racconto di Lovecraft. Non rivela il non detto e termina in tragedia. Lo scrittore non amava i fantasmi convenzionali, i suoi spettri facevano parte del quotidiano.
Non è una questione stilistica, di verbi, avverbi o punteggiatura. Quante volte vedrete un film diretto bene che non ricorderete? Leggerete libri o articoli ben confezionati ma privi di anima? L’arte va oltre lo stile. Racconta. Trasmette. Sperimenta. Si lancia nel vuoto. E’ passione, cuore, leggerezza, impulso.
“Il giro di vite” è bello perché è dannato, poetico e irrisolto. Ora mi chiedo e vi chiedo: “Perché rovinarlo?”.
* Nel 2017 uscì il film di Sofia Coppola “L’inganno”.