Oggi, quando trattiamo le eroine passate, le streghe rinascimentali o le donne dell’ottocento, condiamo le storie di coraggio contemporaneo. Già, le ragazze si devono rivedere in “Anna dai capelli rossi” o in Jo di “Piccole donne”, ma snaturare le opere, infarcendole di politically correct e di femminismo del XXI secolo, non rende giustizia né alla storia né alle scrittrici. Come posso raccontare alle mie nipoti il maschilismo, il fanatismo religioso, l’omofobia, il razzismo quando esistono pellicole in cui le nostre “eroine” dicono e fanno quello che le pare, in un momento storico in cui non si poteva fare né l’una né l’altra cosa? Ho storto il naso perfino per il libro “La ferrovia sotterranea” di Colson Whitehead, in cui l’Underground railroad viene raffigurata come una vera e propria ferrovia sotterranea. Mi sembra di essere tornati agli anni cinquanta del novecento, quando gli scrittori e i cineasti seguivano le mode, le censure e gli stati d’animo del pubblico. E oggi il pubblico è distratto.

Piccole donne
Non sono quel che si dice una fan di “Piccole donne”, ho sempre apprezzato la storia per la sua genuinità. Ho visto tutte le versioni cinematografiche, quelle che preferisco sono la pellicola di Gillian Armstrong, 1994, e l’adattamento televisivo della BBC, firmato Vanessa Caswill, 2017. La peggiore è quella di Greta Gerwig, nella quale salvo il personaggio di Amy, interpretato da Florence Pugh (candidatura all’oscar meritata). La protagonista, Jo, interpretata da un’annoiata Saoirse Ronan, sembra fregarsene di quello che la circonda. Per farla breve è la storia d’amore tra “una lei e il suo romanzo”. Il che mi fa sospettare che certa gente non abbia capito il senso di “Piccole donne”, quasi sicuramente non l’ha letto.
Togliamo il gusto personale, fingiamo di non conoscere il libro e guardiamo il film. Cosa dovrebbe spingerci a dire che è bello? La trama? Ebbene, seguendo la pellicola, ci sono quattro sorelle: una si sposa, una muore, una fa i capricci e si sposa con il migliore amico della sorella, una fa di tutto per pubblicare un libro. Cosa spinge Jo a scrivere la propria storia? La sorella malata? Il belloccio di turno? Non si sa. La regista utilizza i flashback, sfonda la quarta parete, e qualcuno scrive: “innovazione”. Ho letto critiche e commenti positivi, tipo “rivisitazione non convenzionale”, “è come respirare una boccata di ossigeno” e, ancora, “un taglio fresco e rinnovato”. Ooook.
E qui mi viene in soccorso Nanni Moretti:
Vista l’intenzione, sarebbe stato meno convenzionale raccontare la vita di Louisa May Alcott. Mancanza di coraggio?
Siamo circondati da pellicole come “Ammonite”, dove la paleontologa Mary Anning si innamora perdutamente di Elizabeth Philpot, prima, e di Charlotte Murchison, dopo. Storicamente parlando non si sa nulla di queste presunte relazioni, e trovo svilente che si parli di un personaggio così importante, dimenticato dalla storia e dagli uomini di scienza, mostrando la sua (non) vita privata. Le discussioni su Mary Anning in rete non sono del tipo “Cosa ha fatto per la paleontologia?”, ma “Cosa ha combinato tra le lenzuola?”. La pellicola, infatti, sembra una copia sbiadita del bellissimo “Ritratto della giovane in fiamme” del 2019 (un vero gioiello). Insomma, Mary Anning merita di essere ricordata per le sue doti, non per le sue (presunte) scelte sessuali. Stesso discorso vale per Elizabeth e Charlotte.
Piccole donne – recensione e libro

Gerwig prende il capitolo, Vita da casalinga in “Piccole donne crescono” per narrare le frustrazioni di Meg, quando l’intento dell’autrice era quello di mostrare la vita di coppia (una coppia americana del 1866 circa e lo sottolineo!). La regista, così, sceglie l’episodio meno efficace e tralascia, tra le tante cose, la povertà americana.
Era veramente una stamberga quella stanza dove viveva la povera famiglia! Le finestre rotte, il caminetto senza ombra di fuoco, le coperte del letto tutte lacere! In un angolo della stanza un’infelice donna, inferma, teneva al petto un bambinello piangente e, dall’altro lato, un gruppo di poveri bambini stavano rannicchiati insieme sul letto, coperti da un misero piumone per ripararsi dal freddo! Come si spalancarono gli occhi socchiusi e come sorrisero le povere labbra violacee all’apparire delle quattro ragazze.
(…)
Una povera donna è entrata nella bottega con un secchio e una scopa e ha domandato al signor Cutter se voleva farle pulire qualche cosa per guadagnare qualche soldo o un po’ di pesce da dar da mangiare ai suoi poveri bimbi che morivano di fame.
Piccole donne di Louisa May Alcott
Per raccontare il femminismo, in ogni scena o quasi, le protagoniste, su tutte Amy, ci rammentano che le donne non possono fare nulla in un mondo di uomini. Le parti più belle di “Piccole donne”, quelle che mostrano il contesto storico, la guerra, le rinunce, l’amore tra sorelle, il loro carattere, il calore familiare, l’amicizia, le differenze di classe e il temperamento di Jo, passano in secondo piano.
Quando il signor March perse tutte le sue proprietà nel cercar di salvare dalla rovina un suo amico disgraziato, le due ragazze pregarono i genitori che volessero permettere loro di far qualcosa, se non per aiutare la famiglia, almeno per mantenere loro stesse. Sapendo che non è mai troppo presto coltivare nella gioventù l’energia, la buona volontà e l’indipendenza, loro acconsentirono e Meg e Jo si misero a lavoro con quell’ardore che, vincendo gli ostacoli, conduce sempre a qualcosa di buono.
(…)
“… Ho dato i miei figli alla patria e li ho dati senza lamentarmi”. (…) “Io avevo dato un uomo solo e mi lagnavo; lui ne aveva dati quattro senza una parola: io avevo a casa le mie quattro ragazze, che erano la mia consolazione, e il suo ultimo figlio lo attendeva così lontano, forse per dargli soltanto l’estremo addio!”. (Marmee – la mamma)
Piccole donne di Louisa May Alcott
“… Tu detesti lavorare. Sposerai un uomo ricco e tornerai a casa per vivere come una grande signora” disse Jo.
“Le tue previsioni a volte si sono avvarate, ma questa volta non credo che tu abbia indovinato. Se però non riuscissi a diventare un’artista, mi piacerebbe aiutare quelli che davvero lo sono” replicò Amy, sorridendo.
Piccole donne crescono di Louisa May Alcott
Nel film il tutto viene raccontato senza un briciolo di enfasi, da: Amy che rischia di morire nel ghiaccio a Jo che si vende i capelli. Sembra quasi che la regista si vergogni della propria creatura.
La pellicola è un insieme confuso di episodi. Per dimostrare il femminismo si prende un classico della letteratura e lo si stravolge. La timidezza di Beth (personaggio chiave di “Piccole donne” e “Piccole donne crescono”) è quasi inesistente, perché è démodé? Non è femminista?
Beth era troppo timida per andare a scuola; l’avevano mandata una volta per prova, ma la povera piccina aveva sofferto tanto che dovettero cambiare idea e suo padre aveva finito per darle lezione da sé.
(…)
Vi sono molte Beth nel mondo, timide e tranquille, che restano nascoste nel loro cantuccino, finché non suona l’ora del bisogno; che vivono esclusivamente per gli altri, dimenticando sé stesse e lo fanno in modo così dolce e così quieto, che nessuno si accorge dei loro sacrifici, se non quando il povero uccellino smette di cantare, e la dolce, salutare presenza svanisce, lasciando dietro di sé la desolazione e il silenzio.
Piccole donne di Louisa May Alcott
A quaranta minuti dalla fine (ho guardato), nemmeno la morte di Beth risolleva la pellicola. Ancora una volta si dà spazio al femminismo (femminismo?) di Jo. La morte della sorella, secondo la regista, non ha la stessa rilevanza del matrimonio di Meg. Perfino la delusione di Jo, quando Amy va in Europa al suo posto, e l’amicizia con Teddy sono descritte in modo banale. Certo, i libri di “Piccole donne” non sono “Guerra e Pace” , ma un film non può permettersi di tralasciare le sfumature, gli sguardi, i dialoghi. Guardando questa versione, senza conoscere i romanzi, lo spettatore si domanda cosa ci trovi Jo nel professor Baher, visto che a malapena lo sopporta.
Nel solo “Piccole donne” si intravede il pensiero critico e libero di Louisa May Alcott.
“Disapprovo le punizioni corporali, specialmente quando si tratta di bambine”. (Marmee)
(…)
“Che stupidaggine!” disse Jo. “Lasci che faccia il pianista, se ne ha voglia, e non lo tormenti con il collegio e l’università, che odia!”.
(…)
“Il mio John non mi sposerebbe mai per interesse! Siamo tutti e due preparati a lavorare e aspetteremo finché potremmo sposarci. Non temo la povertà; sono stata povera fino a ora e sono stata felice e sono certa che sarò felice con lui…”. (Meg)
Piccole donne di Louisa May Alcott
Quando guardiamo una pellicola vediamo: colori, parole, emozioni, recitazione, fotografia, storia, idee. Guardiamo i vestiti cuciti dai costumisti, le scene curate dagli scenografi. Dietro ad un film ci sono registi, truccatori, direttori della luce e del sonoro, elettricisti, arredatori, attrezzisti, montatori, attori, produttori. Sembra che alcuni cineasti, per non parlare dei critici, abbiano dimenticato il significato di “settima arte”. Il politically correct sta annacquando la realtà. Se prendo un romanzo e lo cambio, a scapito delle evidenze storiche, non sto facendo altro che cancellare anni di battaglie. Vi sembrerò pesante – sicuramente lo sono -, ma è così. Come dicevo, sarebbe stato più coraggioso narrare la vera storia di Louisa May Alcott e non trasformare Jo in un’eroina moderna (moderna?). Nel romanzo, quando il professore Baher la critica, Jo brucia i suoi racconti, non punta i piedi, non gli risponde a tono. Ogni storia è chiusa nel suo contesto storico, e ogni contesto va letto, studiato, criticato, capito e non stravolto.
Nell’arte vi sono personaggi e storie discutibili. David Wark Griffith, con “Nascita di una nazione” (film del 1915), creò il cinema moderno. Utilizzò: un certo numero di personaggi, il montaggio analitico, gli effetti speciali e le acrobazie. Tuttavia, senza tanti giri di parole, la pellicola sposava le idee dei Ku Klux Klan.
Qualche mia amica femminista rinnega e si rifiuta di leggere, guardare, ascoltare le opere di quegli artisti che si sono macchiati di comportamenti abominevoli. Al di là che divido sempre l’essere umano dall’artista/professione, cancellare e modificare il passato non aiuta nessuna causa. Non aiuta a crescere, non aiuta l’arte.
Le donne sono esseri umani, basterebbe questo per scrivere una sceneggiatura, fare un bel film. Basterebbe “la storia” da sola per narrare l’epopea femminile, e non solo.

Appunti su Louisa May Alcott

Louisa nacque in una modesta famiglia americana del Massachussetes. Il padre, Amos Bronson Alcott, apparteneva ad un club “trascendentalista” con Emerson e Thoreau. Amos era anche un maestro elementare, ma dovette abbandonare il lavoro perché ebbe l’idea, troppo moderna per l’epoca, di inserire nella sua classe bambini bianchi assieme a bambini neri. Oltretutto, sosteneva il suffragio femminile.
Nel 1847 la famiglia Alcott nascose uno schiavo fuggitivo.
Le sorelle March, di “Piccole donne”, sono le stesse sorelle Alcott. La mamma, Abba, fu una delle prime assistenti sociali professionali d’America, mentre le figlie, Anna, Louisa, Elizabeth, Abigail, lavorarono come domestiche, insegnanti e governanti per aiutare la famiglia.
Anna, la sorella maggiore, era un’attrice di talento. Si sposò per sfuggire alla povertà. Elizabeth, la terza, chiamata Lizzie, morì di scarlattina. Abigail, meglio conosciuta come May, era la sorella minore. Grazie al successo di Louisa, andò a Boston e in Europa per crescere come pittrice. Lottò per aiutare le donne povere, insegnando loro l’arte.
La vita di Louisa fu segnata dal dolore. Durante il suo periodo come infermiera (guerra civile americana), prese il tifo e venne curata con il mercurio, che le provocò allucinazioni e sofferenza. I medici di oggi, basandosi su alcune fotografie, pensano che soffrisse di Lupus.
Nel 1868 l’editore di Louisa May Alcott chiese di scrivere un libro per bambine. Nel giro di poco tempo, Louisa produsse “Piccole donne”. Jo March è una donna “selvaggia” come lo era Louisa.
Quando morì May, nel 1879, Louisa crebbe la figlia della sorella, Louisa May Nieriker.
Louisa scriveva per mantenere lei e la sua famiglia.
Della sua vita amorosa non si sa nulla.
Louisa May Alcott è stata figlia, sorella, madre, instancabile lavoratrice, scrittrice, femminista, abolizionista. Speciale.
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Spunti di riflessione (probabilmente continua):
In epoca Elisabettiana, gli attori maschili interpretavano i ruoli femminili, perché alle donne era vietato recitare.
In epoca Vittoriana (Europa), alle pittrici era ancora vietato dipingere modelli nudi dal vivo.

La dicotomia vittoriana era protetta dalla legge, che permetteva all’uomo di abbandonarsi a tutte le avventure possibili fintanto che non violentava le domestiche, non faceva sesso con la sorella e non picchiava la moglie con troppa foga. Quindi, se Polly avesse avuto i mezzi per fare causa a William e fosse riuscita a raccogliere le prove della sua relazione con Rosetta, non avrebbe potuto comunque divorziare. Tuttavia, nel 1878, stando al Matrimonial Causes Act, se William l’avesse trattata con particolare brutalità e i suoi reati fossero finiti in giudicato, il tribunale avrebbe avallato il diritto di Polly a una separazione legale. Fortuna o sfortuna volle che non fosse questo il caso. In realtà, quasi tutte le donne che desideravano porre fine al loro matrimonio potevano cercare solo di garantirsi una separazione di fatto con l’aiuto della workhouse…
… alle profferte del padrone, del figlio, del fratello, del cugino, di un amico o del padre, le probabilità che si ritrovassero da sole davanti alla coercizione, alla sopraffazione o al desiderio reciproco erano infinite. Se, da una parte, andare a servizio serviva a temprare il carattere di una giovane lavoratrice, dall’altra una relazione sessuale con un uomo all’interno della casa in cui si serviva poteva essere distruttiva. (…) La visione univoca del XIX secolo permetteva agli uomini di scrollarsi di dosso certi legami, mentre le donne ne uscivano spesso devastate, costrette a prendersi cura di conseguenze che vagivano e gorgogliavano….
…. il concetto condiviso era che le donne che praticavano la prostituzione dovessero assumersi la responsabilità per la trasmissione della sifilide. Vigeva la convinzione che, se lo Stato fosse riuscito a controllare la donna caduta, moralmente traviata, nonché strumento della diffusione della malattia, allora sarebbe stato in grado di isolare il problema.
A Göteborg, come a Stoccolma, Parigi, Amburgo, Berlino e in altre città europee, alle prostitute veniva richiesto di registrare nome e indirizzo presso la polizia e di sottoporsi a regolari visite ginecologiche per accertare che non fossero malate. (…) La storica Yvonne Svanström riporta che a Göteborg si stilavano due elenchi diversi: sul primo erano registrati i nomi delle prostitute note, sull’altro quelli delle donne sospettate: le ragazze madri, quelle che si vedevano spesso sole con degli uomini o che uscivano di sera, le mantenute.
Margaret Llewelyn Davies, attivista per i diritti delle madri, all’epoca definì «una vita di gravidanze in eccesso». (…) minestre più acquose, una forchettata di frattaglie, una fetta di pane nel latte diluito. In questi casi, a saltare il pasto doveva essere la madre. Che fosse incinta o che stesse allattando, «in una fase in cui avrebbe dovuto essere ben nutrita» la madre si sottoponeva a «privazioni per poter risparmiare; perché in una casa delle classi lavoratrici, se c’è da economizzare non sono il marito o i figli, ma la madre a mangiare gli avanzi o a rosicchiare gli ossi spolpati»
Da “Le cinque donne. La storia vera delle vittime di Jack lo squartatore di Hallie Rubenhold
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