Parlando di donne – introduzione

Introduzione (il vero post è sotto)

In questi giorni ho letto articoli, post, perfino libri dedicati alle grandi donne del passato. Ho ascoltato dibattiti, interviste e monologhi. In questi anni non ho fatto altro che udire discorsi sulla parità, mai sull’educazione, sulla forza, mai sul rispetto, sull’impegno, mai sull’amicizia, sul coraggio, mai sulla nostra storia. In questi anni ho incontrato donne che si vantano di aver studiato o di non aver studiato affatto, di amare il proprio lavoro o di non averlo mai amato, perfino di non fare nulla o di aver conseguito corsi – pagati da altri -. Non si insegna l’amore, la curiosità e la passione. Si gareggia per qualsiasi cosa: dal cibo al giardinaggio, dal ricamino alla fotografia pucciosa, dall’accudire i figli al non accudirli, dal truccarsi al non truccarsi, dal far sesso al non farlo per niente. Non c’è mai la voglia di ascoltare, apprezzare l’altra. C’è chi si vanta di non pulire casa e si dimentica le donne che negli ultimi duemila anni non hanno fatto che quello. Se ti lamenti, si palesa quella che ti deve mettere in riga o che sottolinea quanto lei sia sfigata come o più di te; se non ti lamenti, si manifesta quella che ti deve spiegare che lei non può fare come te perché lavora o ha figli, o lavora e ha figli, o una cosa a caso a piacere. Si discute di violenza sessuale e femminicidi senza mai arrivare alla radice del problema, senza mai partire dalle basi, senza chiederci cosa trasmettiamo agli altri. Nel nostro immaginario le donne coraggiose sono quelle famose, o quelle che hanno “studiato”. Tuttavia, vi stupirò, la nostra storia è fatta anche di commesse, calzolaie, segretarie, ragioniere, spazzine, poliziotte, vigilesse, ristoratrici, sarte, collaboratrici domestiche, casalinghe, madri, donne sole, sposate, divorziate, gattare. La nostra storia è fatta di donne che sono scese in strada per difendere i propri diritti e di donne che hanno protetto le proprie figlie. La nostra storia è fatta di leggi e articoli. La nostra storia è fatta di tessuti, abiti, ricette, coltivazioni, viaggi, fiori, mare, laghi, terra. Parole e silenzi. La nostra storia è fatta di torture, infibulazioni, violenze, manicomi. Di cura. Non ci sono lavori più o meno nobili, semmai lavori più pagati di altri. Non ci sono persone più intelligenti di altre, semmai persone più curiose di altre, più geniali di altre, più fortunate di altre. “La donna in carriera”, in fondo, si nutre con il cibo prodotto da altre mani e si veste con gli abiti cuciti da altre persone. A me piacerebbe che ci fosse un po’ di sana autocritica. Si accettano associazioni che non dovrebbero lucrare, ma lucrano. Si bypassa l’idea che “basta che se ne parli” o “che bel gruppo che siamo”, e ci si dimentica la singola persona. Sempre. Si ascolta la propria voce e mai quella dell’altra. Ci si offende per una sciocchezza e non si cerca il confronto telefonico o il faccia a faccia, si preferisce punzecchiare o casomai scrivere un post (tanto di moda), a volte un mese dopo, e accusare l’altra con illazioni da social e animosità represse (accaduto davvero qualche anno fa).

Raccontare la storia delle guerriere e dimenticare le altre significa tralasciare parte della narrazione. Per cambiare le cose dobbiamo comprendere cosa eravamo e cosa possiamo diventare. Dobbiamo contestualizzare, capire l’ambiente, le diverse culture. Non basta dire: “Ho studiato, sono arrivata o sono in pace con me stessa”. Non basta parlare di sorellanze o matriarcato, non basta fare i complimenti, né urlare ai quattro venti quanto si è forti, coraggiose o signore. Quando le parole non corrispondono ai fatti rimangono bugie.

Tornando, al vocabolo “lucro”, se ci convinciamo che una commessa o una collaboratrice domestica abbiano meno valore di un’imprenditrice, apriamo la strada, senza rendercene conto, anche alle imbroglione. Per questa società non è importante lo studio, la cultura, la persona ma il saper spacciare un bicchiere di acqua per un elisir di bellezza.

Quante volte abbiamo sentito commentare da una donna famosa che ne descriveva un’altra famosa: “E’ una grande donna!”? Quante volte abbiamo letto sui social o su una rivista una donna che si dipingeva forte? Chi stabilisce questi parametri? Dovremmo dosare i termini, dargli la giusta importanza.

Le donne, gli uomini, i bambini sono persone. Ognuna con una propria testa, cuore, sogno. E io, nel mio piccolo, ho sempre cercato di leggere e comprendere le vite dei personaggi meno noti.

***

Harriet

Araminta Ross, conosciuta come Harriet Tubman (1822-1913), nasce in schiavitù sulla costa orientale del Maryland, dove il confine tra libertà e prigionia è fragile. Infatti, il marito di Harriet è un uomo di colore libero.

La vita da schiava non è una passeggiata, a volte Harriet viene picchiata e tutto quello che riesce a mangiare sono gli avanzi lasciati sulla tavola. Divide la stanza con la sua famiglia, nella quale ci sono una decina di bambini. Un proprietario di schiavi, nel tentativo di fermare un fuggiasco, con un peso di ferro colpisce la testa di Harriet, che ha solo tredici anni. Questo episodio le provocherà svenimenti e vertigini per il resto della vita.

Nel 1844 sposa un uomo libero, John Tubman, di cui praticamente non si sa quasi niente.

Finalmente nel 1849 Harriet decide di scappare utilizzando la Underground Railroad, una rete di percorsi segreti e luoghi sicuri utilizzati dagli schiavi. I fuggiaschi si spostano di notte, nascondendosi sui treni e nei boschi, per raggiungere il nord del paese.

Harriet, una volta arrivata in Pennsylvania, è finalmente una donna libera.

Nel frattempo, nel 1850, viene approvato il Fugitive Slave Act, questo significa che gli schiavi possono essere prelevati dagli stati liberi e restituiti ai rispettivi proprietari, cosa che rende più complessa la fuga verso la libertà. Adesso gli schiavi devono spingersi fino in Canada. Harriet decide di condurre al sicuro i parenti e gli amici, ma non solo, rischia la propria vita per aiutare anche altri schiavi a scappare. Viene chiamata “Mosè”, perché come il Mosè biblico guida il suo popolo alla libertà. Grazie al suo coraggio salva decine e decine di uomini. La ricompensa per catturare Harriet è di ben 40.000 dollari.

Harriet non solo non viene catturata, ma nel corso delle sue imprese non lascia nessuno per strada. Durante e dopo la guerra civile aiuta le persone povere, malate e in difficoltà. Negli ultimi anni di vita lavora al fianco di Susan Brownell Anthony (1820-1906), un’importante attivista dei diritti civili statunitensi, adoperandosi per il suffragio femminile.

Luci e ombre

Il XIX secolo è ancora avvolto da superstizioni, gelosie, misoginia e razzismo. Il riconoscimento dei diritti degli omosessuali avverrà, in molti paesi, soltanto nel XXI secolo. La schiavitù si esprime al suo massimo, celebrando il potere e il dominio dei colonizzatori attraverso “zoo umani”, chiamati “esposizione etnologiche”, probabilmente per giustificarne la disumanità. Da Parigi a Londra, da Barcellona a New York la tendenza del momento è quella di mostrare popoli variopinti, stretti nei loro usi e costumi tribali. Ed è così che all’esposizione universale del 1889, a Parigi, sfilano 400 indigeni come grande attrazione, mentre si collauda l’uso dell’elettricità su vasta scala, in alternativa al vapore.

Come deve essere bello il mondo, in preda a scoperte scintillanti, in cui l’uomo si risveglia dal grande letargo per donarci quella parola che, ancora oggi, ci appare come chiave di svolta: civiltà. La stessa civiltà che crea e sviluppa i sogni, distrugge la vita di molte persone.

Se chiudiamo gli occhi e torniamo indietro di qualche anno, possiamo vedere il francese Joseph Nicéphore Niépce (1765-1833), che, da abile alchimista, utilizzando una strana sostanza, il bitume di giudea, regala il primo paesaggio: Vista dalla finestra a Le Gras. Nasce la fotografia, è il 1826. Ad interessarsi alla strabiliante scoperta troviamo il chimico e artista Louis-Jacques-Mandé Daguerre (1878-1851), il matematico François Jean Dominique Arago e l’astronomo John Frederick William Herschel.

Con il tempo la fotografia fa passi da gigante, siamo passati dallo ioduro d’argento, alle prime stampe con lampo al magnesio e via via fino ad arrivare alle digitali di oggi.

Assistiamo alla magia all’interno di una sala buia, fredda, dove vi sono solo trentatré persone sedute. All’improvviso lo schermo prende vita e il mondo si illumina, come non ha mai fatto prima. È il 28 dicembre del 1895, ci troviamo a Boulevard des Capucines, a Parigi, ed è appena nato il cinema.

La civiltà che è in grado di stupirci, sparge supplizi e intolleranza.

Fino alla metà del ventesimo secolo, gli zoo umani espongono popolazioni esotiche che attirano milioni di persone, come l’esposizione del 1931 a Parigi. Ed è così che il guerriero Apache Geronimo rilascia autografi presso lo Zoo del Bronx o il pigmeo Ota Benga viene trattato alla stregua di una scimmia.

Artiste nascoste

Le donne, da altra parte, conoscono molto bene il vocabolo “civiltà”, vivono nella consapevolezza che il mondo appartiene agli uomini e lottano per inseguire i propri ideali. Perfino i nomi femminili dati alle rose antiche sono per compiacere il marito, il signorotto.

Nei secoli avanzano donne caparbie, artiste, poetesse, scrittrici, in grado di creare, scoprire e inventare tanto quanto l’uomo.

Ed è così che la talentuosa scultrice Properzia de’ Rossi (1490-1530) finisce “nelle grinfie” di Amico Aspertini (noto pittore dell’epoca) che la scredita dinanzi ai colleghi. Mentre Marietta Robusti (1560-1590), detta Tintoretta, dipinge vestita da garzone nella bottega del padre. La pittrice Chiara Varotari (1584-1663) difende le donne scrivendo un trattato: “Apologia del sesso femminile”.

Le librerie e i testi scolastici ci parlano di artisti maschili, di Rubens e Van Gogh, di Tiziano e Gauguin, di Botticelli e Klimt.

Talvolta dimentichiamo l’altra faccia dell’arte, quella femminile. La fiamminga Clara Peeters (1594-1659) disegna tavole imbandite, offrendo una vastità di effetti di luce, utilizzando monete, coppe e piatti; le settecentesche Elisabetta Marchioni e Margherita Caffi (1647-1710) dipingono lussureggianti cascate di fiori e foglie; Johanna Koerten (1650-1715) ricama con la carta, riproducendo con maestria ossessiva paesaggi marini, fiori, uomini e santi. I suoi strumenti sono una lama affilata e dei semplici fogli.

Conosciamo, attraverso film e libri, Ipazia, Saffo, Artemisia Gentileschi, Jane Austin, le sorelle Brontë, Dora Carrington, Marie Curie, Frida Khalo, Tamara de Lempicka, Louise Bourgeois, e dimentichiamo le altre, seppellite da qualche parte nella memoria, talvolta le recuperiamo per esporre diritti e bandiere, senza davvero comprendere la loro storia. Sfilano nel tempo accomunate da una volontà di scoperta, sperimentazione e passione. Tra le tante: Laura Cereta (1469-1499), Elisabetta Sirani (1638-1665), Rosalba Carriera (1675-1757), Angelica Kauffmann (1741-1807), Ada Lovelace (1815-1852), Berthe Morisot (1841-1895), Clementina Lady Hawarden (1822-1865), Nettie Stevens (1861-1912).

Amandine Aurore Lucie Dupin

I romanzi di Jane Austen (1775-1817) vengono pubblicati anonimamente, firmati con “by a lady” (scritto da una signora), altrimenti con “by the author of Sense of Sensibility”. Solo dopo la sua morte il fratello rivelerà il nome dell’autrice.

Stessa sorte toccherà a molte scrittrici, come Elizabeth Gaskell, costrette a firmarsi con l’unica frase “by a lady” o con uno pseudonimo, spesso maschile. Questa scelta infelice è dovuta alla sfiducia che il pubblico prova nei confronti della donna, ritenuta artisticamente, e non solo, inferiore all’uomo.

Sì, la storia è piena di donne straordinarie, come Amandine Aurore Lucie Dupin (1804-1876), scrittrice, che, con il nome di George Sand, affascina la Francia ottocentesca. Conosciuta soprattutto per i suoi amori, come Alfred de Musset e Chopin, manifesta la propria libertà, rifiutando il banale conformismo.

La sua produzione letteraria è legata alla vita, a tratti audace. Ama gli uomini più giovani e frequenta luoghi proibiti alle donne, travestendosi da uomo.

Insomma Aurore è una donna fuori dagli schemi, quelli del suo tempo. Abbandona de Musset per un giovane e piacente medico, Pietro Pagello, rifugiandosi con l’innamorato a Venezia per ben cinque mesi.

Nel romanzo “Elle e lui” narra di questo idillio, raccontando il punto di vista femminile e il punto di vista maschile.

La relazione con Chopin è ben più burrascosa, dura otto anni, dal 1839 al 1847.

Aurore si distingue per il temperamento tenace che la conduce a combattere per grandi ideali come la democrazia e l’emancipazione femminile.

Caterina Percoto

Caterina Percoto (1812-1887) non è soltanto una scrittrice e poetessa italiana, ma è anche una studiosa, un’imprenditrice. Da sola impara il tedesco, il latino e il francese. È una patriota che non si tira indietro quando ve ne è l’occasione, scrive opere pedagogiche rivolte alle donne sulla rivista “La ricamatrice”.

Si abbona a diverse pubblicazioni dedicate alle novità tecnologiche e scientifiche. Grazie allo studio e al desiderio di conoscenza e di rinnovamento, importa per la prima volta in Friuli le galline di “razza America”, le vitelline Swift, e un peculiare baco da seta proveniente dalla Transilvania, resistente al clima umido. Purtroppo i bachi giungono ammalati e moriranno quasi subito, tuttavia non possiamo che rimanere conquistati dall’intraprendenza di questa donna.

Donne infelici

E poi ci sono donne come Mary Ann Nichols (nella foto) e Annie Chapman passate alla storia come prostitute, per il semplice fatto di essere state ammazzate per strada da Jack lo squartatore.

***

Ho da poco lasciato la mia bacheca – pubblica – su Facebook (nella mia vita ho lasciato tanti luoghi). Voglio ringraziare tutte le persone che ho incontrato e che mi hanno fatta crescere. Ringrazio le mie “insegnanti” virtuali. Molte di loro, come direbbe Wilde, “non sono riuscite ad imparare e si sono messe a insegnare”, ma come professoresse sono state bravissime (non è ironia). Mi hanno trasmesso: rispetto, pazienza, silenzio, diplomazia, amicizia, amore, coraggio, forza. Ho imparato molte cose sul femminismo e sul peso che diamo alle parole. Ho pensato, disimparato e rimparato a pensare. Ringrazio le “amicizie”con cui ho litigato o che hanno “litigato” con me. Ringrazio le persone che mi hanno raccontato le loro storie e i loro drammi. Ringrazio chi mi ha donato bellezza, chi mi ha fatto ragionare, chi si è fidato e confidato. Ringrazio tutti, belli e brutti, buoni e cattivi, eroi e ignavi. E’ stato un bellissimo viaggio. Un viaggio fatto di articoli, fotografie, emozioni, narrazioni, vita, amicizie (spesso finte, ma ci sta), contrasti, pensieri, canzoni, film, perfino risate. Grazie a chi mi ha detto “ti voglio bene”, a chi ha tentato di farmi cambiare idea, a chi è rimasto in silenzio, a chi non ha capito nulla di come sono fatta. Ringrazio chi mi ha perdonata (sempre troppo pochi… ahahahah). Grazie.

Continua…

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