Verso un’altra estate di Janet Frame

Grace Cleave abita a Londra. I capelli stanno prendendo il colore della polvere. Il suo romanzo è fermo da tempo, qualcosa si è intromesso nella sua vita. Philip Thirkettle la invita a trascorrere un fine settimana a Relham, senza sapere che alla donna non piace stare in mezzo alla gente. Così si ritrova a dividere lo stesso spazio con un marito, una moglie e due figli. Col passare del tempo Grace si trasforma in un uccello migratore…

Frame fu internata per otto anni in un istituto psichiatrico, dopo una diagnosi per schizofrenia. Grazie ai suoi racconti scampò alla lobotomia. “Verso un’altra estate” è il romanzo che Janet Frame vietò di rendere pubblico perché troppo intimo.

“Un fine settimana a Relham, con Philip Thirkettle, sua moglie Anne, il padre di lei, Reuben, e forse – Grace non lo sapeva – uno o due figli: sembrava la promessa di un incubo”.

Janet Frame mette la propria vita a disposizione del romanzo. La sua è una scrittura personale, poetica, sensibile, colma di riflessioni. Intravediamo, attraverso gli occhi di Grace, lo stato d’animo della scrittrice.

In Nuova Zelanda ero una matta conclamata. Tornare indietro? Mi hanno consigliato di vendere cappelli per la mia salvezza”.

In “Verso un’altra estate” la protagonista è incapace di immergersi nella società, eppure ne coglie il linguaggio, i gesti. E’ attenta alle piccole cose, alle azioni quotidiane a cui non diamo importanza. Grace si sente fuori luogo, osserva e soppesa le parole. Teme di essere scoperta, di deludere. In perenne stato di allerta, crede di non sapere comunicare con le altre persone.

Quando avvertì che gli attimi, dopo aver formato un perimetro senza via di fuga, si stavano gradualmente schiudendo nei tipici incisi del sabato mattina. Grace scivolò fuori da una fessura tra due attimi, mormorò qualche scusa e fuggì nella sua stanza”.

La scrittura di Janet Frame è un oceano di parole e pensieri. Un momento ti trovi nella fredda Inghilterra, un attimo dopo in Nuova Zelanda. L’autrice è in grado di afferrare i diversi stati d’animo delle persone, di entrare dentro le cose.

Rieccola in Nuova Zelanda. Ricordava le kumara, dolci e levigate come l’oro, e il cesto di lino che il vecchio Jimmy aveva dato al loro padre…”.

I suoi flussi di coscienza, così liberatori e profondi, ricordano quelli di Virginia Woolf. La sua lirica rimanda ad Alda Merini e Sylvia Plath.

Una cattedrale, una casetta, una stazione ferroviaria, un hangar? E’ troppo alto per vederne la struttura, il cielo di velluto si smorza nella nebbia, il quotidiano con il suo inserto, l’inserto nell’inserto (ah il technicolor!) riposa pesante sul piede e sul cuore”.

Ma, forse, sarebbe più corretto dire che Janet Frame è solo, si fa per dire, Janet Frame.

Il ruolo di poeta, naturalmente, apparteneva alla madre di Grace la quale, forse per la povertà della famiglia, forse per la propria convinzione di come funzionava la mente di un poeta, insisteva nel dire che le poesie migliori venivano sempre scritte sul retro di una busta da corrispondenza, o su pezzetti di carta strappati da una lettera”.

La mucca ebbe un vitellino e quando aveva poche settimane venne a vederlo un uomo, che disse: Non è ancora abbastanza grande. Io dissi: Per cosa? Mio padre disse: Non ficcare il naso in cose che non ti riguardano, ma l’uomo, senza riflettere, rispose: Il mattatoio. C’erano i matti al mattatoio?”.

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