
Eugénie, Geneviève, Thérèse e Louise, pur avendo trascorsi differenti, sono accomunate dallo stesso destino: l’ospedale della Salpêtrière. In quel manicomio femminile ci finiscono soprattutto le donne rifiutate, e poi dimenticate, dalla famiglia e dalla società: le vedove, le prostitute, le violentate, le reiette, le scomode e le anticonformiste. La loro sorte è stata decisa dagli uomini.
L’autrice ne “Il ballo delle pazze” racconta il mondo femminile di una Parigi di fine ottocento (1885), un mondo in cui alle donne non è permesso esprimere un’opinione, parlare in pubblico e alzare la testa. L’ospedale della Salpêtrière è a servizio del romanzo e dei personaggi. Jean-Martin Charcot e Joseph Babinski, accennati più volte nel libro, sono realmente esistiti. Entrambi medici, insegnarono presso l’ospedale di Salpêtrière. Charcot si interessò all’isteria, tra le sue pazienti ci fu una certa Louise Augustine Gleizes. La donna venne molestata a dieci anni e violentata dall’amante della madre a tredici. Fu più volte ipnotizzata dal noto medico francese, e fotografata, per dimostrare la presunta isteria. Quando Gleizes non accettò più di essere ripresa, venne messa in isolamento. Nel 1880 scappò dall’ospedale, travestita da uomo. I fatti reali del manicomio si mescolano in questo romanzo, che Victoria Mas racconta con una scrittura* diretta, scorrevole e asciutta. Il manicomio diventa, così, nelle mani della scrittrice, un luogo di aggregazione, una sorta di casa, per quelle donne escluse da una società misogina e incapace di amare.

Louise, che in qualche modo riveste i panni della giovane Augustine, è la cavia della scienza, dove gli spettatori sono ancora una volta uomini. Thérèse potrebbe essere una delle prostitute descritte da Zola. Eugénie è la donna emancipata, pronta a combattere per un nuovo mondo, mentre Geneviève è il confine tra il passato e il futuro.

Assolutamente da leggere.
*Ho apprezzato l’uso del “presente”.
***

Appunto – fine ottocento
Tra suggestioni medievali, languori romantici, incanti mostruosi e regole ottocentesche, la donna, nonostante i primi accenni di emancipazione femminile, è percepita come musa o meretrice, moglie o religiosa. Perfino l’isteria è visto come un disturbo dell’utero, tanto da spingere i medici ad optare per “l’isterectomia”. Metodo utilizzato anche per sconfiggere la sindrome premestruale, all’epoca definita “malinconia mestruale”. Nel 1843 Charles Clay, a Manchester, esegue la prima isterectomia addominale, senza anestesia. Il medico sostiene di non utilizzare il cloroformio, giacché una donna capace di gestire il dolore recupererà più velocemente. La paziente muore di emorragia.
Quando leggiamo queste storie di ordinaria follia, non dobbiamo stupirci dell’ambiente misogino in cui si muovono le protagoniste: mogli, amanti, figlie, sorelle.

Che spettacolo, lo leggerò sicuramente
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Appena prenotato in bibioteca!
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