Il sapore del vento sulle foglie

Più che settembre mi piace ottobre, quando l’aria profuma di spettri.

Quando avevo 17 anni il mio cantante preferito era David Sylvian. Volevo carpire il suo segreto, ingoiare le parole, farne cibo per l’Anima. Ancora oggi, ascoltando, “Secrets of the beehive” sento il “sapore del vento sulle foglie”.

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Euridice è la sfortunata Ninfa uccisa da un serpente. Dopo la morte dell’amata, Orfeo scrisse diverse canzoni cariche di sofferenza. Deciso a riprendersi a ogni costo la sua sposa, scese negli inferi. Il resto immagino lo conosciate.

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Quando arriva l’autunno, mi piace vagare nel mito, trattenere il respiro.

Così Owein* prende l’anello, incontra la dama della fontana…

…”Ruota il castone all’interno della mano e serra il pugno. Finché lo nasconderai, esso nasconderà te. Quand’essi si saranno ripresi, correranno di nuovo qui (…). Saranno molto irati quando non ti troveranno. (…) Avvicinati e mettimi una mano sulla spalla, io saprò che ci sei. Allora seguimi dovunque andrò”.

… “veniva una donna dai capelli biondi sciolti sulle spalle e macchiati di sangue, vestita d’abiti di broccato di seta giallo a brandelli, i piedi calzati in stivaletti di cordovano variegato. Era meraviglia che non avesse i polpastrelli delle dita tutti escoriati, tanta era la violenza con cui batteva le mani una contro l’altra. (…) Vedendola Owein si infiammò d’amore per lei al punto che ne fu preso fin dal profondo”.

Più tardi, per aver tradito la promessa fatta alla donna amata, diventa un animale selvaggio…

“Lunghi peli gli spuntarono da per tutto ed egli ebbe come compagnia gli animali selvaggi. Si nutrì con loro…”

Tra peripezie, giganti, corvi e l’aiuto di Lunet, il nostro eroe rimarrà per sempre alla corte di Re Artù con la sua sposa.

In autunno incontro Gwion** che, per scappare dall’incantatrice Ceridwen, si trasforma in un coniglio, poi in un pesce, poi ancora in un uccello e infine in un chicco di grano. Ceridwen, mutata in gallina, lo ingoia e dopo nove mesi, grazie a quel seme, partorisce Gwion. E mi perdo nel racconto Táin Bó Cúailnge, “La grande razzia”, dove incontro la Morrigan, prima sotto le sembianze di una giovane donna, in seguito in quelle di un’anguilla, dopo in quelle di un lupo e infine in quelle di una vecchia.

Ogni luogo porta con sé il proprio canto.

Quando nasce un bambino aborigeno, la mamma segna il luogo dove è avvenuta la gravidanza e chiede agli Anziani chi è passato di lì durante il “Mondo del sogno” (alcheringa), se la Lepre o il Dingo o qualcun altro. Gli Anziani consultano la “mappa cantata” e assegnano al bimbo il suo antenato (totem). Ogni gruppo conserva i racconti del “Mondo del sogno” o “Tempo del sogno”. Gli anziani sono chiamati “I custodi dei racconti”.

Un canto estone, tradotto da Carla Corradi Musi, recita così:

Quando io comincio a cantare, a gettare un po’ di parole, io tramuto il mare in montagna, degli scogli io faccio degli scudi, io faccio una predella del fondo.

Le canzoni, queste non mancano mai, quando mi dò al libero sfogo; non si spengono affatto nel fiore, alla fine del loro meriggio.

Inaridiscano tutti i tigli, si perdano i ginepri, scompaiano gli aceri, prima che la mia voce inaridisca, (prima) che finiscano le mie canzoni.

Mi piace rincorrere le leggende, le tradizioni perché parlano di noi. Di me. Ci mostrano bellezza, poesia, speranza. E conserviamo, senza saperlo, quei gesti nel nostro dna. Ci sono donne, come Emiliana Losma, che recuperano la storia dell’universo femminile: scienziate, scrittrici, pittrici, poetesse e non solo.

Quando andiamo in un museo e vediamo un arazzo ci troviamo dinanzi a un componimento poetico, a qualcosa che ha attraversato il tempo, in grado di raccontarci una storia fatta di lana, seta, lino o cotone.

Qualcuno mi chiede: “A cosa serve leggere? Perché scrivi se non sei una scrittrice con la S? Perché ti interessi a una marea di cose che non servono a nulla?”

Rispondo come risponderebbe il professor Keating de “L’attimo fuggente”: “Perché faccio parte della razza umana e la razza umana è piena di passione”.

Ci abbandoniamo alle favole, a certe leggende in cui le ninfe arboree vivono in nidi fatti di muschio*** o in cui tre ondine intonano un canto dolcissimo sulle placide acque di un lago****. Una donna islandese trova la sua pelle di foca in un baule e svanisce nel mare, mentre una Dea lappone protegge le nascite. Accogliamo quello a cui vorremmo assomigliare. Henry Worsley, ossessionato dal leggendario Ernest Shackleton, affronta l’Antartide a piedi; Estanislao Pryiemski tenta di registrare le voci della natura amazzonica, prima che scompaiano. L’esploratore annota 17 nomi di api selvatiche grazie a un indio della tribù Kamaruà: Arapuà, Mandacuri, Achopé, Jati, Exu, Mumbuca, Mandaçaia, Urucu-boi, Borá, Tataira, Bejoi, Cupira, Tubi, Jandaira.

Le americane, durante il quilting bee, nel XVIII secolo si riunivano per scambiarsi pareri, trucchi, tecniche e disegni sull’arte del trapuntare. Le piccole chiese ospitavano una dozzina di donne. Mentre gli uomini erano occupati a lavorare o a giocare al “lancio dei ferri di cavallo”, le donne chiacchieravano circondate da fili colorati e stoffe. La festa si concludeva con l’arrivo degli uomini, tra canti e danze. La trama della trapunta chiamata “Log Cabin” (casetta di legno) è uno dei modelli più noti. Si pensa che la sua origine derivi dai primi pionieri arrivati negli Stati uniti. La “Log Cabin” appare negli anni ’60 dell’ottocento, durante la Guerra Civile Americana, e spesso viene identificata con lo spirito dei primi pionieri. Quelle donne sono la dimostrazione che ogni singolo gesto racchiude una storia.

In autunno mi piace raccogliere le foglie, preparare le composizioni con i fiori pressati. Molti non ne capiscono il senso. Eppure dietro a un ricamo, una pianta, un sacchettino di lavanda, una lettera si celano: un segreto, un canto, un racconto, una tradizione. L’essere umano non è nato soltanto per lavorare, accoppiarsi, competere, procreare. Quando penso al quilting bee romanticamente mi vengono in mente parole come amicizia e ascolto. E allora ecco comparire nella mia testa l’Ikebana giapponese con i suoi elementi principali: Shin è lo stelo più lungo della composizione e simboleggia il cielo; Soe è la rappresentazione allegorica dell’uomo ed è l’elemento intermedio; Tai o Hikae raffigura la terra ed è il ramo più corto. Ecco comparire Ovidio narrare delle figlie del re della Beozia, le quali avevano preferito lavorare al telaio, raccontandosi miti, piuttosto che festeggiare Bacco, e per questo motivo furono trasformate in pipistrelli.

“Nel vicino Oriente l’albero viene associato al culto della Madre Terra e ai riti di fertilità dei raccolti; il mito della nascita di Adone da un albero affonda le radici in simili rituali”.

Da La natura e i suoi simboli, piante, fiori e animali ed. Electa

***

In autunno, molti anni fa, nella mia regione (Veneto) la gente si radunava nelle corti per la scartocciatura del granturco che favoriva gli incontri amorosi. Dopo il lavoro estivo, intenso e faticoso, le ultime sere di settembre rappresentavano un momento di aggregazione in cui avevano particolare importanza il canto corale e il gioco erotico. Dino Coltro ricorda: “Basti pensare alla pannocchia (…) offriva una simbologia sessuale, apertamente proposta con battute, accenni e sguardi significativi”.

Il 21 settembre (circa all’equinozio di autunno) i neo pagani festeggiano Mabon, il nome deriva da una divinità della mitologia gallese. Quello che mi interessa delle tradizioni antiche e moderne è trovare la radice. In “Kulhwych e Olwen” ci sono riferimenti a un Mabon ap Modron, il figlio della madre o giovane figlio. In Britannia settentrionale, nel Northumberland vi è un altare in cui compare il nome “Maponus”, identificato come Apollo. A differenza di altri personaggi del Mabinogion Gallese, Mabon si ritrova nei nomi di paesi nelle zone ai due lati del Vallo orientale di Adriano e nelle iscrizioni. Senza approfondire questa divinità, che troverete ampiamente in rete e sui libri (molti da prendere con le pinze), mi piace collegarla alla Città Desolata o Terra Desolata, chiamata così a causa di un malvagio conosciuto come Mabon (Le bel Inconnu del 1180 – 1230).

Le storie, vere o inventate, rivelano sempre qualcosa che parla di noi, del nostro passato. In autunno la natura si prepara al riposo, le giornate si fanno più corte e i racconti diventano preziosi.

***

Da ragazza osservavo a lungo la copertina dell’album di David Sylvian, sognavo di diventare fotografa. Volevo riprodurre quell’immagine, che mi affascinava come le canzoni, la poesia e le storie in esse contenute.

Le giornate rallentano. Gli alberi si lasciano ammirare. Impreziositi dai loro colori. Tutto brucia. Sotto una coperta di foglie accartocciate.

The night is dark and cold
The strong winds and the rain
Crack the branches upon my window
The devil beats his drum
Casting out his spell
Dragging all his own down into hellThe ticking of the clock
Inexorably goes on
The howling of the stray souls of heaven
The treasures of the cove
Where the traders stored their gold
Echo voices still dead to the worldUnderneath the vine
Shaded by the leaves
I still hold you close to me
Beneath the open stars
Beneath the pillows and the sheets
I still hold you dear to meThe ticking of the clock
Surely sunrise won’t be long
When darkness hides inside it’s own shadow
The devil beats his drum
Casting out his name
Dragging all his own down into shame

David Sylvian

* Owain, o la dama della fontana fa parte dei tre romanzi gallesi “Y Tair Rhamant”, che sopravvivono in parte nel Libro rosso di Hergest (1382 – 1410) e nel Libro bianco di Rhydderch (1325 – 1400). Owain, figlio di Uryen di Reget, fu un eroe della Britannia vissuto intorno la fine del VI secolo, celebrato nelle gesta gallesi. Chrétien de Troyes (1170 – 1180) per il suo “Yvain” riprende in mano alcune leggende celtiche e latine, tra cui quella di Mungo di Glasgow, fondatore della città (Glas Ghu), secondo il mito, infatti, il santo apparteneva alla tribù dei Pitti. Mungo (518 – 614) era figlio di una principessa Bretone, Teneu, dell’antico regno di Gododdin. Teneu è stata “la prima vittima di stupro registrata in Scozia”. Secondo la leggenda il padre di Mungo, conosciuto anche Kentigern, fu Owain mab Urien, figlio di Urien, re di Rheged. Owain violentò Teneu travestito da donna.

** Il racconto di Talieisin è spesso associato a Taliesin (534 – 599), poeta gallese. Il racconto ricorda l’infanzia dell’eroe irlandese Fion Mac Cumhail ed è stato scritto intorno al 1275. Alcune volte lo troviamo incluso nei “Mabinogion” (XII – XIII sec.).

*** “Le fanciulle del legno e del muschio, leggenda alpina” da il libro “Le vergini fiorite – leggende e racconti di fiori e fanciulle” di Laura Rimola.

**** “Le ondine e i nani del Lach de i Gai” da il libro “Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità delle dolomiti”.

Cenni bibliografici:

Il mito della tavola rotonda di Norma Lorre Goodrich ed. Tascabili Bompiani

I celti di T.G.E. Powell ed. Est

Tradizoni Celtiche di Ward Rutherford ed. Neri Pozza

La natura e i suoi simboli – piante, fiori e animali ed. Electa

Mitologia celtica di Thierry Jolif ed. L’età dell’acquario

La saga irlandese di Cu Chulainn ed. Oscar narrativa

I racconti gallesi del Mabinogion ed. Oscar narrativa

The Mabonigion di Lady Charlotte Guest ed. Global Grey – Ebook

Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende delle dolomiti di Dino Dibona ed. Newton Compton

Atlante leggendario delle strade d’Islanda ed. Iperborea

Le vergini fiorite, leggende e racconti di Fiori e Fanciulle di Laura Rimola ed. Pettirosso

Popoli tribali di Adriano del Fabro ed. Demetra

Gli Aborigeni australiani, seimila anni di civiltà della pietra di Adolphus P. Elkin ed. Iduna

I canti degli sciamani a cura di F. Paolo Campione ed. New Press

L’oscurità bianca, il tragico destino di un uomo solo nell’Antartide ed. Corbaccio

Le voci del Pantanel di Estanislao Pryiemski ed. Piemme

Japonisme, ikigai, bagno nella foresta, wabi-sabi e molto altro di Erin Niimi Longhurst ed. HarperCollins

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E ancora…

Perché leggiamo? Perché scriviamo? Perché fotografiamo? Perché creiamo? Perché apparteniamo alla razza umana e la razza umana è piena di passione. Non importa se le vostre foto saranno sgranate, se sbaglierete una ricetta o se non sarete Virginia Woolf. 10 anni fa a malapena “sapevo scrivere”; fotografavo ma non così bene; non sapevo cucinare e adesso preparo il pane con il lievito madre di mia produzione; non conoscevo le piante, i fiori e gli insetti (soprattutto quelli) come oggi; non montavo mobili, non tagliavo l’erba, non disegnavo. Prima davo per scontato che non “ero capace”, non ero in grado di poter scrivere un racconto, ad esempio, di poter realizzare una sciarpa (quelle ormai… ne ho fatte pure troppe), di fotografare un’ape da vicino. Mi affidavo, e fidavo, del giudizio altrui e giudicavo. “Oggi scrivono, dipingono, disegnano, ricamano, cucinano, fotografano, creano tutti…”, e allora? Certo, se qualcuno mi parla di fotografia e non sa manco cosa sia un diaframma mi girano le ovaie. “Vantarsi” e “fare” sono due cose diverse, e ho scelto “il fare”, il giudizio è sempre di chi ci legge, guarda, segue. Mi sono allontanata da tutti quelli che dicono: “Oggi scrivono, dipingono, pubblicano… tutti” e francamente sto meglio.

Da ragazzetta giravo con una reflex pesante senza esposimetro, la Zenit. Frequentai un corso di fotografia, l’insegnante, che odiava la mia macchina da quattro soldi, disse: “Non sarai mai una fotografa”. Quel giorno imparai una lezione: il mondo è pieno di frustrati. E ne ho incontrati tanti.

“Essere, semplicemente essere è una sfida” (cit. Tahar Ben Jolloun) e a molti dà fastidio.

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Mi scuso per gli eventuali errori e buon autunno!

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La vera musica del post:

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