Il caffè dei gatti

“Il caffè dei gatti – non ti servono 7 vite puoi essere felice in questa” ricorda una novella giapponese: scorrevole, lineare, atmosfere manga. I richiami alla cultura nipponica sono disseminati nel romanzo, dalla proprietaria del locale al “Neko café”, da “Kiki – Consegne a domicilio” allo studio Ghibli. Peccato che, a differenza di Anna Sólyom, certi scrittori giapponesi riescano nella loro “semplicità” a trasmettere un oceano di emozioni, a creare poesia in poche righe. Tra i tanti possiamo citare: Banana Yoshimoto, Kaho Nashiki, Durain Sukegawa, Toshikazu Kawaguchi.

La storia, seppur carina, si appiattisce quasi subito. A metà libro ti domandi come mai sia stato tradotto in più lingue, il motivo di tanto interesse da parte degli editori.

“Il caffè dei gatti” è un compendio di nozioni orientaleggianti, di frasi “New age” che farebbero invidia a l’Hygge danese, al Lagom svedese, all’Ikigai giapponese (citato nel libro e un bel “ma va?” ci sta), alla felicità islandese, a “The key” di Joseph Vitale, ai libri di Coelho e a “Il piccolo principe” Antoine de Saint-Exupéry. Potrei andare avanti con la lista ma mi fermo qui.

I libri raccontano, attraverso le parole, una storia. Al di là della soggettività, della scrittura (che non sta a me giudicare) e dei generi letterari, se il libro è un compendio di ovvietà, se non approfondisce i personaggi, se praticamente non accade nulla, perché leggerlo?

Tutti i protagonisti parlano per frasi fatte, come se avessero “l’enciclopedia del vivere meglio” incorporata nel cervello.

“Tutto ciò che nella nostra mente è rigido si esprime anche nel corpo, per questo liberare il corpo è il primo passo per liberarsi dai pensieri stagnanti.”

“La meta è una sorpresa”, rispose Marc. “Proprio come succede nella vita.”

Infine, da amante dei gatti e da animista (da anni scrivo post sull’amore per le piccole cose e mi piace l’hygge danese), non condivido “l’umanizzazione degli animali”. Spesso i gatti che incontro per strada si strusciano sulle mie gambe, semplicemente perché hanno fame (o per rilasciare il loro feromone). Amare un animale significa rispettare la sua natura. Punto.

Probabile che il libro non mi abbia convinta perché conosco “la materia”. Magari se avete 20 o 30 anni vi conquisterà, in fondo racconta la vita di una quarantenne, terrorizzata dai gatti (li detesta), che finisce per lavorare in un “Neko Café”. Ok, la trama è inverosimile.

Mi sa che mi dedicherò a un bel bagno nella foresta (Shinrin – yoku).

La grafica del libro è molto, molto, carina.

PS: non mi stupirei se il romanzo finisse in qualche corso di comunicazione, in quelli propongono sempre i libri che piacciono a me. Sono ironica.

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