Io, Tituba strega nera di Salem – figlie / i di un dio minore
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Tituba è nera, schiava e per di più donna. Per questo motivo è stata annullata dalla storia, dimenticata in quasi tutti i racconti su Salem. Eppure, il suo personaggio non è irrilevante, se guardiamo gli atti processuali.

La scrittrice ci presenta una donna moderna, ricca di sfumature. “Io, Tituba strega nera di Salem” è la storia di una schiava, una reietta, di un’ultima.

La madre finisce impiccata per mano di un padrone bianco, e, senza genitori, Tituba impara l’arte della magia grazie ad un’anziana.  Per lo schiavo John Indian abbandona la sua vita di semi libertà. Questa scelta la condurrà dai Caraibi a Salem.

Maryse Condé non ci rassicura, né ci racconta la solita storiella condita di incanti e impreziosita da buoni propositi. Tituba ama gli uomini e ama fare all’amore. Tituba è una strega. E’ una donna. Un essere umano.

Ero dall’altra parte dell’isola a consolare una schiava il cui compagno è morto sotto le torture. L’hanno flagellato. Hanno messo del peperoncino sulle piaghe, poi gli hanno strappato il sesso.

Il romanzo narra la vita degli ultimi, di quegli uomini e di quelle donne, spesso, dimenticati dalla storia.

Io non ho conosciuto l’infanzia, L’ombra della forca di mia madre ha oscurato tutti gli anni che avrebbero dovuto essere consacrati alla spensieratezza e ai giochi. Per ragioni senza dubbio differenti dalle mie, intuii che Betsy Parris e Abigail Williams erano state private anch’esse della loro infanzia, di quel capitale di dolcezza e di leggerezza. Intuii che nessuno aveva mai cantato loro delle ninne-nanne, raccontato delle storie, nutrito l’immaginazione…

Il libro è un piccolo universo di volti, carezze, schiaffi, paure, lacrime, incubi, rinunce, sacrifici, ingiustizie, furore, ribellione, amore. Gli uomini giustificano i propri pruriti e istinti, nascondendosi dietro la maschera della religione, definendo peccato tutto ciò che è diverso e naturale.

Ognuno doveva confessare ad alta voce i peccati commessi durante il giorno e sentivo le povere bambine balbettare: “Ho guardato John Indian ballare sul ponte”. “Mi sono tolta la cuffia lasciando che il sole mi carezzasse i capelli.”

Immagina una piccola comunità di uomini e di donne schiacciati dalla presenza del Maligno, che cercano di braccare in tutte le sue manifestazioni. Una vacca che moriva, un bambino che aveva le convulsioni, una ragazza che tardava ad avere il suo flusso mestruale erano materia di infinite speculazioni.

“Ah sì, i gatti! Ce ne sono dappertutto a Salem. Ne uccidiamo di continuo.”

“Tituba, sai che significa essere un ebreo? Nel 699 i Merovingi di Francia hanno ordinato la nostra espulsione dal loro regno. Dopo il IV concilio, quello di papa Innocenzo III, gli ebrei hanno dovuto portare un marchio circolare sui vestiti e coprirsi il capo. Riccardo Cuor di Leone, prima di partire per la crociata, ordinò un assalto generale contro gli ebrei. Sai quanti di noi hanno perso la vita sotto l’Inquisizione?”

“Non potei trattenermi e l’interruppi: “E noi, lo sai tu quanti di noi insanguinano, da sempre, le coste dell’Africa?”

La scrittrice ci rivela la vita di una schiava, l’angoscia nel dare alla luce una creatura. Soprattutto ci fa intendere che gli uomini, nel bene o nel male, hanno una vita meno dura.

Durante tutta l’infanzia avevo visto schiave assassinare i loro neonati (…) Durante tutta l’infanzia avevo udito schiave scambiarsi ricette di pozioni, lavande, iniezioni che sterilizzano per sempre le madri e le trasformano in tombe tappezzate di sudari scarlatti.

“Bianchi o neri, la vita li serve troppo bene, gli uomini!”

“Io Tituba, strega nera di Salem” non è un romanzo per tutti. Ci vuole cuore e stomaco.

“… a sedici anni mi hanno data in moglie a un reverendo, un amico di famiglia che aveva già seppellito tre moglie e cinque bambini. Il puzzo della sua bocca era tale che, per mia fortuna, appena si chinava su di me svenivo. Tutto il mio essere gli si rifiutava, eppure mi ha fatto fare quattro bambini ch’è piaciuto a Dio di portare via dalla terra. A Dio e anche a me! Perché mi era impossibile amare i figli di uomo che odiavo…”

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La scrittrice, come altre prima di lei, ci conduce per mano nella testa delle accusatrici, nelle paure più profonde, nell’oscurità dell’animo umano, che Kurtz  chiamava “l’orrore!”

Uno degli uomini si sedette a cavalcioni sopra di me e cominciò a martellarmi il viso di pugni, duri come pietre. Un altro mi tirò su la gonna e infilò un bastone appuntito nella parte più sensibile del mio corpo, schernendomi…

La scrittura, a tratti onirica, ci fa comprendere più da vicino Tituba e la stessa Condé. Quel tipo di scrittura che hanno le donne quando sanno narrare di altre donne e dei piccoli segreti che scaldano il cuore.

Riempivo una piccola ciotola d’acqua che poi mettevo alla finestra in modo da poterla guardare anche muovendomi per la cucina e ci rinchiudevo le mie Barbados. Riuscivo a farcele stare dentro tutte, con l’ondeggiare dei campi di canna da zucchero che prolungava quelle delle onde marine, i cocchi inclinati verso la riva del mare e i mandorli nostrani carichi di frutti rossi o verde scuro. 

Per me Salem è quasi un ossessione. Forse, come Arthur Miller, credo che il timore e il sospetto siano in grado di spazzare via tutto ciò che non è considerato “normale”, “ordinario”, “giusto”. Ho paura della paura.

Quasi 20 anni fa lessi un libro “Il viaggio della strega bambina”, di Celia Rees, che mi catapultò in questa realtà. Più tardi, caddi nelle braccia di Elizabeth Gaskell. Tre scrittrici, tre donne, tre visioni differenti. Rees racconta anche il mondo degli indiani d’America; Gaskell, pur essendo una scrittrice vittoriana, trascina il lettore in un ambiente claustrofobico seicentesco; Condé ha una scrittura talmente viva e passionale che è difficile uscirne “illesi”.

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“Io, Tituba strega nera di Salem” mi ha ricordato “La favorita”, film di Yorgos Lanthimos. Ho pensato immediatamente alla Regina Anna e alla sua sofferenza. “La favorita” non lascia spazio alla pietà.

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Le protagoniste combattono come uomini in un mondo di uomini. E soccombono. E tutti quei bambini perduti – quelli della Regina Anna e quelli del romanzo di Condé -, portano con sé tanta solitudine.

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Dal film “La seduzione del male”

***

A Salem, prima dei processi contro le streghe del 1692, i Putnam e i Porter sono ai ferri corti. La famiglia Porter gode di un certo successo economico, mentre ai Putnam le cose non vanno bene, anzi sostengono che il loro declino finanziario derivi dall’avidità e dalla popolarità degli ultimi arricchiti. I Putnam sono dei semplici agricoltori che seguono le regole dei puritani tradizionali, mentre i Porter sono commercianti a tutti gli effetti, troppo individualisti secondo la mentalità di Salem. Nel 1672, una diga di proprietà dei Porter inonda le terre dei Putnam, aprendo tra le due famiglie un travagliato contenzioso, nello stesso anno in cui viene concesso il diritto di costruire una nuova chiesa. Al progetto, naturalmente, partecipano i Putnam, che attraverso la “Chiesa” auspicano di controllare l’intera comunità. A complicare le cose è l’arrivo di un nuovo reverendo, un certo Samuel Parris, figlio di un noto mercante delle Barbados, invitato dai Putnam. Parris è un sacerdote puritano, e quando giunge a Salem porta con sé una schiava, Tituba, che conosce i segreti della magia caraibica. A ragion del vero nessuno conosce le origini di Tituba, si sa soltanto che è stata comperata al mercato degli schiavi e che in alcuni testi appare con la pelle nera come l’ebano.

Qualche anno prima, nel 1689, il pastore puritano e medico John Cotton Mather (1663-1728) pubblica un libro in cui riporta una storia di stregoneria accaduta a Boston. Tre bambini iniziano a comportarsi in modo bizzarro dopo aver litigato con la lavandaia irlandese Mary Glover. Secondo Cotton Mather si tratta di stregoneria. Mary viene impiccata il 16 novembre del 1688, l’isteria che colpirà da lì a poco il Massachusetts è appena iniziata.

In inverno, tra il 1691 e il 1692, Elizabeth Parris figlia di Samuel Parris, di appena nove anni, e la cugina Abigail Williams, di undici, si comportano in modo strano. A detta dei testimoni, strisciano per terra, emettono versi bizzarri e, cosa più spaventosa, i loro corpi si contorcono assumendo posizioni disumane.

Dinanzi a questi fenomeni i medici non riescono a trovare una soluzione. Il primo a parlare di possessione diabolica è il dottore William Griggs, il quale sostiene che le bambine siano state stregate. A questa conclusione arrivano anche Samuel Parris, William Phips e William Stoughton.

Da lì a poco, altre adolescenti iniziano ad avere strani comportamenti, tanto da spingere gli abitanti del villaggio al passo successivo. Mary Sibley propone di cucinare la torta delle streghe, Witches cake, i cui ingredienti sono segale ed urina, e darla in pasto a un cane. L’animale, una volta mangiato l’intruglio, sarebbe in grado di riconoscere il responsabile del malocchio. Lo stratagemma non ottiene nessun risultato e a quel punto gli abitanti, sempre più impauriti, decidono di interrogare le vittime del sortilegio.

Le ragazze interpellate aumentano e oltre ad Abigail e Elizabeth si uniscono: Elizabeth Hubbard, Mary Walcott, Mercy Lewis, Ann Putnam Jr. e Susannah Sheldon.

Il tribunale è presieduto da William Stoughton, John Hawthorne, Bartholomew Gedney, Jonathan Corwin e altri magistrati illustri del Massachussets.

Durante il processo, le ragazzine rivelano che nei loro giochi spesso praticano la divinazione, anche grazie a Tituba, la schiava del pastore Parris. La prima ad essere accusata, infatti, è Tituba, la quale non nega di essere una strega, anzi dice di parlare con una sorta di demone. Durante le torture, Tituba fa il nome di altre donne, e, liberata da Samuel Conklin, scompare per sempre da Salem. Sarah Good, colpevole di essere una mendicante sopra le righe, e Sarah Osborne, responsabile di non aver lasciato gli averi ai figli del primo marito, vengono accusate di stregoneria. Ormai la caccia è aperta, ad uno ad uno i presunti colpevoli vengono messi a confronto con le ragazze, che si contorcono e puntano il dito. Tra gli arrestati c’è addirittura una bimba di quattro anni, Dorothy Good, figlia di Sarah Good. I giochi sono fatti, vengono imprigionati Abigail e Deliverance Hobbs, Martha Corey ed Elizabeth Proctor.

Martha Corey, allora settantaduenne, viene accusata nonostante sia conosciuta per le sue opere di pietà e partecipi attivamente alla vita di Chiesa. Quando insinua che le impossessate stanno mentendo, Ann Putnam Jr. e Mercy Lewis non ci pensano due volte ad accusarla di stregoneria. Ovvio che un animo raziocinante, come quello di Martha, è convinto che nessuno possa credere alle finte invasate, eppure durante il processo accade l’inevitabile. Le ossesse imitano i movimenti di Martha, come se lei stessa le manovrasse. Il dramma si compie sotto i suoi occhi, Mercy e Ann iniziano a urlare. Il 22 settembre del 1692 viene impiccata, qualche giorno prima, il 19 settembre, il marito Giles Corey riceve una morte ancora più brutale. Spogliato dei propri abiti, viene fatto sdraiare, con una tavola sul petto, e a quel punto, sotto lo sguardo non così atterrito dei vicini, gli posizionano rocce e pietre pesanti sul legno, finché non muore stritolato.

Il pastore puritano John Cotton Mather incoraggia il proseguimento dei processi, esorta a punire i malvagi, parteggiando per i giudici. Descrive dettagliatamente gli avvenimenti di Salem, presentando un quadro imparziale e di parte. Eppure Cotton Mather è un uomo di scienza, uno dei primi a sostenere l’inoculazione del vaiolo per combattere la malattia.

È assurdo immaginare che un’intera comunità possa arrivare a tanto, soprattutto quando i temibili accusatori assumono le sembianze di piccole creature. Tra le più crudeli querelanti c’è Ann Putnam Jr., di appena tredici anni. Anche lei conosce il gioco “venus-glass”, durante il quale si fanno cadere delle uova in un bicchiere di acqua, per tentare di scorgere il futuro. Le bambine dicono di aver visto una bara, può darsi uno spettro o ancora un demone. Forse sono impressionate dai racconti di Tituba, forse vogliono soltanto giocare. Sta di fatto che quando Elizabeth Parris scompare dalla scena, per non inquinare le prove, Abigail Williams e Ann Putnam Jr. diventano ancor più violente. Ann inveisce ed infine accusa ben sessantadue persone.

In molti sostengono che Ann è uno strumento di suo padre, Thomas Putnam, del resto non è un caso che proprio le due famiglie più famose di Salem, i Putnam e i Porter, c’entrino qualcosa con la caccia alle streghe. Entrambe le fazioni hanno parenti ed amici tra gli accusatori, i testimoni e i giudici. Fra gli storici, c’è chi sostiene che le due famiglie abbiano formato un cerchio di persone in grado di approfittarsi della testimonianza delle bambine per eliminare la fazione avversaria.

Ann svolge il suo compito e lo porta a termine. Probabilmente non bastano le scuse del 25 agosto del 1706, né ci consola sapere che proprio Ann sia l’unica delle ragazze “indemoniate” a scusarsi per l’orrore arrecato.

Rebecca Nurse viene arrestata la mattina del 24 marzo del 1692. È inutile dire che la donna è reduce da lunga battaglia con i suoi vicini di casa, i Putnam. Ed è per un pezzo di terra che viene arrestata e impiccata.

Le vittime di Salem sono una ventina: Bridget Bishop, Rebecca Nurse, Sarah Good, Elizabeth Howe, Susannah Martin, Sarah Wildes, George Burroughs, George Jacob, Martha Carrier, John Proctor, Giles Corey, John Willard, Martha Corey, Mary Eastey, Mary Parker, Alice Parker, Ann Pudeator, Wilmot Redd, Margaret Scott, Samuel Wardwell, Ann Forster (morta in prigione).

L’immaginazione dell’uomo è capace di creare meraviglie, ma anche incubi da cui ti vorresti svegliare.

Da un saggio che scrissi anni fa e che ho tolto da Amazon

Simona

Ad Anna

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